La natura in musica

La nuova Arcadia del Festival di Herne per un ritorno alla Natura

La Tempête (foto di Thomas Kost)
La Tempête (foto di Thomas Kost)
Recensione
classica
Herne
Festival di musica antica di Herne
11 Novembre 2021 - 14 Novembre 2021

Dopo l’annullamento della edizione del 2020, dovuta alla pandemia, il Festival di musica antica di Herne è tornato ad animare la cittadina del Land della Renania Settentrionale-Vestfalia, con il suo intenso programma concentrato in sole quattro giornate dall’11 al 14 novembre 2021. La particolarità di questa manifestazione è legata al suo ente promotore e organizzatore, la Westdeutscher Rundfunk Köln (WDR), che trasmette in diretta o in differita tutti i concerti ispirati ad un leitmotiv scelto di volta in volta dal direttore artistico Richard Lorber in collaborazione con Sabine Radermacher che svolge il ruolo di dramaturgin, figura di consulente comune nei teatri e nei festival del nordeuropa, ma non in Italia.

L’affascinante tema lanciato dal titolo “Ritorno alla Natura!”, è stato interpretato sia in maniera ellittica che letterale dai gruppi invitati a partecipare a questa nuova  edizione del festival, a cominciare da quella che si definisce Compagnie Vocale et Instrumentale La Tempête, fondata nel 2015 da Simon-Pierre Bestion. Con il titolo Hypnos, accompagnato da un sottotitolo che si potrebbe tradurre come “Viaggio musicale in sogno tra Età di mezzo ed era moderna”, l’ensemble ha presentato un programma costruito sull’alternanza tra musiche di autori a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, come Isaac, Senfl, de Orto, de Escobar, de Févin, de Manchicourt e composizioni recenti di Tavener, Greif, Scelsi, Pärt, e Marcel Pérès che sembra il punto di riferimento per le peculiari scelte interpretative che caratterizzano la dimensione vocale dell’ensemble a livello di ornamentazione ed emissione vocale, in alcuni casi vicine o tendenti alla tradizione orale, e accompagnate da cornetto e clarinetto basso. L’accostamento tra l’introito del Requiem per cinqu voci di Pierre de Manchicourt (1510-1564) e l’inizio del Requiem di Olivier Grief (1950-2000) è apparso uno dei momenti più intensi di tutto il concerto che si è concluso con il ‘Libera me’ di Juan de Anchieta offerto come bis.  

Le Miroir de Musique (foto di Thomas Kost)
Le Miroir de Musique (foto di Thomas Kost)

Diversissimo sia nella composizione del programma che nell’approccio ai testi musicali il concerto dell’ensemble Le Miroir de Musique intitolato “La scoperta di se stessi delle anime pie”, e dedicato a un particolare ed eclettico repertorio musicale contenuto in fonti del XV secolo, che rispecchiano le esperienze meditative e gli ideali spirituali del movimento della devotio moderna dei ‘Fratelli della vita comune’, ispirato dal teologo e predicatore penitenziale olandese Geert Groote vissuto nel Trecento. I libri di canto manoscritti consultati per la preparazione del programma contengono musiche monodiche e polifoniche trascritte con differenti forme di notazione, e come per altri  progetti sviluppati dal direttore dell’ensemble Baptiste Romain, anche in questa occasione si è manifestato l’accurato lavoro di studio e di ricerca che illumina parti della storia della musica poco note o inesplorate che il gruppo esegue con rigore e talento.

Il Gardellino (foto di Thomas Kost)
Il Gardellino (foto di Thomas Kost)

Due le proposte che hanno interpretato alla lettera il tema del festival. La prima  dell’orchestra barocca Il Gardellino diretta da Korneel Bernolet, è iniziata con l’esecuzione di Les élémens, la simphonie nouvelle di Jean-Fèry Rebel del 1737-38 con i suoi sorprendenti e inauditi, per l’epoca, clusters del movimento introduttivo intitolato ‘Chaos’, e si è poi conclusa con la cantata Les soleil, vainquer des nuages di Louis-Nicolas Clerambault interpretata dal soprano Deborah Cachet; mentre la seconda del Collegium Marianum diretto da Jana Semerádová, seguendo il filo conduttore di musiche legate all’acqua, tra la sinfonia dalla serenata La Senna festeggiante di Vivaldi e una delle note suite di Handel, ha presentato musiche di Delalande, Marais e di Telemann, eseguendo di quest’ultimo anche l’originale e interessante concerto ‘Die Relinge’ il cui soprannome si riferisce al gracidare della rana.

Enea Barock Orchestra (foto di Thomas Kost)
Enea Barock Orchestra (foto di Thomas Kost)

L’attesa nei confronti di un’opera inedita o rara che caratterizza la politica culturale del festival è stata soddisfatta dalla prima esecuzione in tempi moderni in Germania, ma preceduta dall’incisione discografica, della serenata Enea in Caonia di Johann Adolf Hasse rappresentata Napoli nel 1727, dalla quale è nato il nome dell’ensemble che si è formato a Roma nell’estate del 2018: Enea Barock Orchestra. Il suo energico direttore, Stefano Montanari, ha infuso vitalità ad un libretto mediocre compensato dalla qualità della musica di Hasse che scorre galantemente con l’eleganza e la semplicità di una Arcadia stilizzata nella quale le arie più interessanti sembrano riservate ai personaggi di Ilia ed Eleno, interpretate in modo eccellente dai soprani Giulia Bolcato e Paola Valentini Molinari, affiancate dal contralto Anthea Pichanick, Enea, dal mezzosoprano Gaia Petrone, Andromaca, e dal tenore Luca Cervoni, Niso.

L'Accademia del Piacere (foto di Thomas Kost)
L'Accademia del Piacere (foto di Thomas Kost)

I concerti del festival si svolgono tra la KreuzKirche e il KulturZentrum, a poca distanza l’una dall’altro, ma il sabato a tarda sera c’è in programma un concerto extraurbano che si svolge nel Künstlerzeche Unser Fritz 2/3, uno dei più antichi insediamenti minerari della Ruhr trasformato in un luogo di produzione e fruizione artistica polivalente. È qui che L’Accademia del Piacere, il piccolo ensemble sivigliano composto da due viole da gamba, chitarra, cembalo e percussioni e guidato da Fahmi Alqhai ha presentato il suo concerto costruito come un percorso nell’immaginario sonoro dei ritmi di danza iberici del Rinascimento come sarabanda, folia, fandango, xácara, guaracha, ciaccona, canario, in parte di derivazione rurale; alcuni di questi progressivamente assimilati e addomesticati dai compositori barocchi francesi secondo il gusto dei saloni aristocratici e di corte, come reso evidente dalla progressione del programma. Anche se l’acustica della sala ha penalizzato l’ascolto del continuo cembalistico, il concerto si è svolto nel clima di complicità di un evento che il contesto di archeologia industriale rende sempre speciale, a prescindere dai suoi contenuti.

G.A.P. Ensemble (foto di Thomas Kost)
G.A.P. Ensemble (foto di Thomas Kost)

Il tema del ritorno alla natura si è declinato in modo originale attraverso gli ultimi tre concerti del festival. Il primo, intitolato ‘Musica classica in campagna’ e presentato dal G.A.P. Ensemble, un quartetto di flauto traverso, violino, violoncello e fortepiano, è stato dedicato alla musica da camera di ispirazione pastorale del mondo viennese attorno al 1800 prevalentemente di Beethoven. Nella parte conclusiva, la più interessante, è stata eseguita la trascrizione della sua sesta sinfonia fatta da Johann Nepomuk Hummel. Si tratta di una composizione da camera che si ascolta raramente, probabilmente perché richiede un vero proprio tour de force pianistico che abbraccia un condensato di tutti i dettagli della partitura originaria. Il talento degli esecutori si è manifestato anche attraverso la scelta degli strumenti storici, e in particolare di un violoncello barocco e di un fortepiano Graf del 1822 che appartiene alla collezione di strumenti musicali della WDR. 

 Alfio Antico e La Pifarescha (foto di Thomas Kost)
Alfio Antico e La Pifarescha (foto di Thomas Kost)

Fra tutti i concerti in programma il penultimo si è distinto per la peculiarità dell’incontro tra Alfio Antico, musicista e attore della tradizione orale siciliana e più in generale della Magna Grecia, e anche pastore in gioventù, e l’alta cappella dell’ensemble La Pifarescha. In un percorso ricco di suggestioni orfiche e dionisiache, concepito appositamente per questa oaccsione da Marco Ferrari, il tema del ritorno alla natura è stato interpretato attraverso quadri sonori di memoria arcadica, tra musiche rinascimentali e tradizionali. La presenza sciamanica dell’artista siciliano, fatta di pochi gesti essenziali ma ricca di allusioni e suggestioni, e la ricchezza dei timbri dei diversi fiati suonati dall’ensemble hanno creato una atmosfera magica, culminata con l’involontario colpo di scena della pelle del tamburello di Fabio Tricomi, che si è sfondata a seguito dell’ultimo intenso colpo che segnava la fine del concerto.

WDR Rundfunkchor e L'Arte del Mondo (foto di Thomas Kost)
WDR Rundfunkchor e L'Arte del Mondo (foto di Thomas Kost)

Alla fine della manifestazione non poteva esserci conclusione migliore del magico universo sonoro di Henry Purcell e della sua semiopera The Fairy Queen eseguita dal WDR Rundfunkchor e dai suoi solisti accompagnati dall’orchestra barocca L’Arte del Mondo diretta da Christian Rohrbach. Malgrado i limiti dei cantanti generalmente poco esperti nel campo della musica barocca, ad eccezione del controtenore David Feldman che era l’unica voce esterna al coro della WDR, la musica di Purcell ha incantato e divertito il pubblico riassumendo in se il senso del tema di questa edizione con un ritorno alla dimensione onirica, punto di partenza del programma. Nonostante le notizie riguardanti l’inizio di una nuova preoccupante ondata pandemica, il festival è riuscito a riportare il pubblico nelle sale da concerto, con grande soddisfazione degli organizzatori, dei musicisti e degli ascoltatori.

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