Sylvano Bussotti, genio e sregolatezza

Renzo Cresti con Sylvano Bussotti e l’opera geniale (Maschietto Editore) disegna, tra musicologia e filosofia, un pregevole affresco del compositore toscano

Sylvano Bussotti (foto Lelli e Masotti)
Sylvano Bussotti (foto Lelli e Masotti)
Articolo
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Sfogliare Sylvano Bussotti e l’opera geniale, opera monografica pensata e scritta da Renzo Cresti per festeggiare i novanta anni del Maestro, quando lui in realtà se n’è andato due settimane prima del compleanno, come prima della settimana di eventi che la sua Firenze (la bella addormentata nell’orto come la chiamava) gli aveva dedicato, provoca una sensazione strana. L’assenza come un fantasma si aggira inquieta. Anche se Bussotti era da tempo ammalato, il suo esserci comunque, la sua lucidità si percepivano, oggi queste pagine, le analisi, le riflessioni, lo scavare tra le mille pieghe della sua arte evocano il senso della memoria, si manifestano più pregnanti, mettono un punto fermo ad una storia bellissima, forse irripetibile.

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Cresti dichiara subito nella premessa l’obiettivo del libro, scoprire, svelare il senso dell’arte bussottiana, mica poco se consideriamo la complessità del personaggio, spesso contraddittorio, provocatorio, le sue travolgenti invenzioni, visioni e capacità creative distribuite in tanti rivoli, ruoli. L’autore allontana i rischi di un rigido biografismo, come quello di fredde elencazioni di opere. Nel testo, sviluppato in senso cronologico, c’è la vita del Maestro, sempre immersa nel fare arte, ci sono le sue opere, ma il tutto è sapientemente spalmato in struttura che punta all’approfondimento come ad aprire interconnessioni tra arti, artisti, luoghi, idee.

Cresti prende le mosse dal concetto di opera aperta, elaborato nell’omonimo saggio di Umberto Eco negli anni Sessanta del secolo scorso, dove si apriva una visione nuova dell’arte contemporanea, per scoprire subito come questo risulti insufficiente per leggere la complessità dell’opera di Bussotti che a modo suo ha dilatato quel concetto, mischiando linguaggi diversi, in uno spericolato mix tra notazione tradizionale, grafia e sperimentalismi. Questa difficoltà di appigliarsi ad una strada tracciata costringe l’autore a una profonda rielaborazione a ritroso che parte dall’idea stessa di opera d’arte che il Maestro ha ampiamente messo in gioco non solo nell’atto creativo ma anche nella prassi artistica in una stretta connessione tra il personale e il pubblico. La capacità evocativa dell’opera di Bussotti affronta problematiche esistenziali, il corpo attraverso la danza, lo smarrimento e le meraviglie del vivere nel suo teatro musicale, riuscendo a raccontarci presente, passato, storia e mito, capacità che Cresti scova nell’essere infante, nella sua innocenza anarchica, nella fantasia e nell’erotismo.

«L’autore usa la periodica citazione delle opere per provare ad assorbire da ognuna elementi utili per una costruzione possibile dell’estetica bussottiana».

L’autore usa la periodica citazione delle opere per provare ad assorbire da ognuna elementi utili per una costruzione possibile dell’estetica bussottiana. Per esempio per opere degli anni ’50 come Sette fogli e Five piano pieces fo David Tudor Cresti sottolinea come l’indeterminazione della scrittura musicale, le tracce di un ricco grafismo che rimandano ad una interpretazione gestuale, mettano in discussione il concetto di autorialità dell’opera che si espande su tre ruoli decisivi: oltre al compositore e l’interprete, all’accidentalità del caso e del fato (ambiente acustico, ricettività del pubblico, ecc.). Questa riflessione ci ricorda tra l’altro quanto Bussotti apprezzasse Cage.

Il periodo fiorentino degli anni Cinquanta vede Bussotti instaurare un rapporto privilegiato con Luigi Dallapiccola e poi fondare con altri compositori la Schola fiorentina dove vengono approfondite le estetiche dodecafoniche. Ma è chiaro, e Cresti lo sottolinea, che quell’ambiente gli stia un po' stretto. La contestualizzazione storico-culturale della produzione di Bussotti, sempre in sottofondo, ci aiuta a capire quanto il Maestro fosse sensibile a ciò che intorno a lui succedeva sul piano sociale, politico, artistico con uno sguardo particolarmente attento soprattutto ai movimenti d’avanguardia, la cultura underground, le tematiche dei diritti degli omosessuali, basti qui citare i rapporti con il Living Theatre, gli ambienti Fluxus, la Nouvelle vague, Gruppo ‘63 e Carmelo Bene.

Renzo Cresti
Renzo Cresti

La parte terza del lavoro Abitare la creatività entra nel merito dell’ampia multiforme produzione bussottiana, come delle tante regie teatrali con una premessa fondamentale, la frammentarietà, la eterogeneità che la caratterizza non va letta come limite ma al contrario ricchezza, apertura al diverso e molteplice. Cresti poi individua in La Passion selon Sade e in Rara (film), dove carnalità, libido e un Eros sfrenato convivono, opere che racchiudono l’arte di Bussotti. La Passion, che vede la prima nel settembre del 1965 al Teatro Biondo di Palermo ha come protagonista vocale Cathy Berberian, musa del Maestro, mentre lo stesso Bussotti cura regia, concertazione, costumi e interpreta il personaggio del Maestro di Cappella. La figura di Sade viene appena sfiorata con la citazione dei titoli dei suoi scritti, ma è la costruzione strumentale e l’immaginifica invenzione sonora il perno dell’opera. RARA (film) girato tra il 1967 e il 1969 ci dimostra la capacità di Bussotti di usare diversi mezzi espressivi. L’opera risente della situazione sociale di quegli anni, della contestazione giovanile, stilisticamente è sperimentale, metà in bianco e nero, metà a colori. L’uso del nudo, certe ambientazioni si rifanno ai lavori di Warhol ma anche alla filosofia della beat-generation.

Sylvano_Bussotti_Rara

Ma è probabilmente nel cuore del suo lavoro che Cresti, curando l’inserto centrale autografo di Bussotti Bussottioperaballet del 1983, ci regala il documento più prezioso dove il Maestro ci racconta con una scrittura minuta, perfetta e leggibile la sua idea di spettacolo. Un megaprogetto dove combinare tutte le coordinate di una visione totale dell’arte, una scuola-spettacolo, laboratori di drammaturgia, scrittura scenica, composizione, danza, scenografia, costumi e così via, in una visionarietà progettuale senza limiti. Da segnalare anche un importante documento sonoro allegato al testo che vede l’elettronica di Francesco Giomi e la voce di Monica Benvenuti, dopo la Berberian l’altra musa del Maestro, confrontarsi con tre composizioni di Bussotti. Documento di notevole interesse nel quale i due si esaltano nella versione per voce ed elettronica di Lachrimae, per ogni voce del 1978, traccia sublime.

Sylvano Bussotti e l’opera geniale di Renzo Cresti è un testo intenso, impegnativo, che possiamo considerare come passaggio decisivo nell’approfondimento della figura creativa del Maestro toscano. L’autore affianca alla musicologia riflessioni filosofiche, contestualizzazioni sociali, aspetti psicologici, come strumenti indispensabili per svelare una personalità così complessa, non nascondendo, tra pagina e pagina, anche una palpabile emozione nello scoprire lo spessore umano di un artista totale che molto ci mancherà.

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