Il nuovo teatro musicale di Genevieve Murphy
I Don’t Want To Be An Individual All On My Own rivela il talento della compositrice e performer scozzese Genevieve Murphy
Le imprevedibili condizioni attraverso cui siamo passati negli ultimi due anni hanno in qualche modo accelerato e reso urgente la riflessione sulle modalità del performativo e ci hanno abituato a una rinnovata relazione con la parola “trasmessa” (il boom del formato podcast, la meteora – giocata male, peccato! – di Clubhouse, lo sdoganamento totale dei messaggi vocali specialmente tra le generazioni più giovani).
La narrazione, la parola, sono al centro anche di questo notevolissimo lavoro della compositrice scozzese Genevieve Murphy, che da qualche anno combina in modo creativo aspetti di performance art e musica contemporanea, con un’attenzione particolare ai temi della psicologia e della disabilità.
Già protagonista di progetti a fianco di Martin Creed o degli Ex, così come di altri in totale solitudine, in cui ha potuto mostrare la propria versatilità, la Murphy ricostruisce qui una festina di compleanno di quando era bambina, dando voce a ogni personaggio in un racconto serrato che esplode ogni tanto in una canzone di immediatezza pop.
C’è la madre stressata, i nonni, lei stessa bambina smarrita, c’è la riflessione sull’esistenza, sulle relazioni, c’è la capacità di usare la memoria come un dispositivo vivo, che si srotola dentro la più intima confessione, così come nella lucentezza della condivisione contemporanea.
La versione dal vivo di I Don’t Want To Be An Individual All On My Own è passata quest’estate al Mittelfest e si rivela come una istrionica prova di interdisciplinarietà (tanto che qualche recensore si è soffermato più sugli aspetti rumoristici che sul resto, evocando addirittura Russolo e, a mio avviso, perdendo forse di vista riferimenti più ampi, sia musicali che performativi, da Robert Ashley a Jan Lauwers), ma il disco è in grado di restituire un’esperienza altrettanto complessa e coinvolgente, a cui affidarsi come ci si affida a una voce invisibile in grado di evocare sogni e storie.
Lontana dalla semplicità emozionale e dalla concisione instagrammabile di molto songwriting odierno (con cui forse è improprio impostare un ragionamento comparativo, ma anche non troppo), la Murphy si conferma con questo lavoro un’artista di grande flessibilità creativa, in grado di non rimettere – come spesso accade – l’aspetto performativo a servizio dei tempi mediali più in voga, ma anzi coraggiosamente capace di rinnovare, intrecciandoli in uno sdoppiamento dialogico rivelatore, il rapporto tra teatro musicale e puro ascolto.
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