Liz Harris apre il cassetto dei ricordi

Un nuovo album a nome Grouper raccoglie brani inediti lungo 15 anni di carriera

Grouper
Disco
pop
Grouper
Shade
Kranky
2021

Dopo il precedente After Its Own Death / Walking in a Spiral Towards the House pubblicato nel 2019 col nome Nivhek, ecco che Liz Harris ritorna al classico nom de plume Grouper per Shade, album che raccoglie brani che in 15 anni di carriera non hanno trovato posto negli undici album dell’artista residente in Oregon.

Descrivere momenti straordinari con poco o nulla: alla fine è proprio questa l’abilità di Liz Harris/ Grouper e Shade non fa eccezione, rivelandosi una sorta di taccuino emotivo, un album dei ricordi che ci permette attraverso nove canzoni – in una rara intervista concessa a Pitchfork nel 2018 confessò di avere più di 200 canzoni tra non registrate e non pubblicate – di apprezzare l’evoluzione della sua poetica.

La sua è sempre stata una presenza furtiva, fatta soprattutto di assenza – concedetemi l’ossimoro – e riservatezza: in fondo della sua vita sappiamo quasi nulla, ma il suo basso profilo alla fine si è rivelato vincente, garantendole comunque una certa notorietà e tenendola al riparo dalle intossicazioni di certa celebrità.

Multi-strumentista, produttrice in proprio, Liz Harris è stata intercettata dai critici e dal pubblico – scarsino all’epoca – grazie al suo album del 2008, Dragging a Dead Deer Up a Hill, lo spartiacque della sua carriera. Da quel momento è riuscita a mettere in piedi un canale diretto con i suoi fan grazie a un sistema di mailing in cui offre – in maniera confusionaria, va detto – i suoi dischi e il merchandise.

Dal 2008 facciamo un salto al 2016 per ammirarla dal vivo in un Boiler Room Live Set a New York.

«Liz Harris è la più grande di sempre nel farmi sentire scomodamente comodo» – un commentatore su Youtube

Shade è organizzato un po’ come il suo sistema di mailing, non segue un ordine cronologico, non c’è legame tra i brani, si passa dalla Bay Area a Portland fino ad Astoria in Oregon, dove adesso risiede. Da questo caos però riusciamo a estrapolare “Disordered Minds”, con quell’effetto da nastro mandato al contrario e che sembra mangiarsi la musica e noi di nuovo sotto l’incantesimo di Grouper e della sua voce che ci ricorda ancora una volta che intensità fa rima con semplicità, “The Way Her Hair Falls”, assolutamente deliziosa con quelle corde di chitarra tirate e addirittura un paio di incertezze a rendere il tutto assolutamente domestico e ci sembra di guardare la scena dalla finestra, e “Basement Mix”, inno spettrale in un vuoto pneumatico. 

Testi come haiku, amore, perdita, difetti: una caratteristica ricorrente in tutta la carriera discografica della Harris.

«Hai occhi bellissimi ma non è questo che mi piace di te; hai capelli bellissimi, ma di nuovo non è questo che mi piace di te. Lo so che ti prendi cura di me e questo mi piace, e ti prometto di prendermi cura dei tuoi bei occhi blu e dei tuoi capelli biondi» – "Promise"

Shade è un album apparentemente fragile, sempre sul punto di rompersi, ma riesce con la forza tranquilla delle sue canzoni a farci immergere nelle sue profondità; è un album senza sorprese, che non aggiungerà nulla alla ragguardevole discografia della Harris, ma che, con l’avvicinarsi dell’inverno, è destinato a scaldarci nei giorni più freddi.

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