Annalisa Stroppa torna a vestire i panni della Carmen di Bizet, in scena al Teatro Massimo di Palermo dal 17 al 22 settembre, a dieci anni dal suo debutto in un ruolo che ama in maniera particolare. Mezzosoprano versatile, la cantante di origini bresciane sin da giovanissima inizia lo studio del pianoforte affiancando il percorso di formazione musicale a quello umanistico, laureandosi in Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Bergamo e diplomandosi in canto presso il Conservatorio Luca Marenzio di Brescia.
Finalista alla XLVII edizione del Concorso “F. Vinas” di Barcellona e vincitrice di numerosi concorsi internazionali - "TIM", "Magda Olivero", "Iris Adami Corradetti", "Comunità Europea A. Belli di Spoleto, "Riccardo Zandonai" – tra le varie attività concertistiche che la vedono protagonista si possono ricordare quella a Pécs, in Ungheria, per Operalia 2009 dove duetta con Placido Domingo, al Teatro Grande di Brescia e nella Sala Nervi in Vaticano accanto ad Andrea Bocelli, o ancora presso la Shostakovich Grand Hall della Filarmonica di San Pietroburgo, per arrivare alla Roy Thomson Hall di Toronto e alla National Concert Hall di Tai Pei, al Dallas Meyerson Symphony Center e alla Philarmonie di Berlino.
Ma è sul palcoscenico che Annalisa Stroppa trova la sua dimensione privilegiata, un mondo quello operistico che le appartiene in maniera innata e che abita incarnando i diversi ruoli che hanno costellato il suo percorso di carriera. Tra questi personaggi che caratterizzano i titoli tra repertorio belcantistico e operistico in generale, segnati dai caratteri musicali variegati e dai profili drammaturgici sfaccettati, emerge sicuramente la figura di Carmen, personaggio particolarmente amato dalla Stroppa che si appresta a rivestirne i panni nella prossima produzione del Teatro Massimo di Palermo che riprende la regia di Calixto Bieito con la direzione di Omer Meir Wellber.
Proprio in vista di questo appuntamento abbiamo fatto quattro chiacchiere con questa artista che parla del canto non come mestiere ma come fortunata opportunità di mettere a frutto un talento che descrive come un dono: «mi piace sempre molto parlare di quello che fatico a considerare un lavoro, perché per me è una passione, un’attività che faccio con tanta naturalezza e che mi rende felice e grata di poterla svolgere al meglio delle mie possibilità».
Una passione che la porta a rivestire i panni di Carmen a distanza di dieci anni dal suo debutto in questo ruolo: com’è cambiata la “sua” protagonista in questo lasso di tempo?
«Naturalmente in questi dieci anni è cambiato il mio modo di leggere e sentire questo personaggio e oggi lo percepisco attraverso sfaccettature diverse e se vogliamo più articolate. Ma l’energia e la modernità della Carmen mi hanno catturata fin dal primo momento, da quando ho interpretato il personaggio di Bizet per la prima volta nel 2011 al Teatro Sociale di Trento. In seguito sono stata Carmen all’Opéra-Théâtre de Limoges, al Festival di Bregenz (in due anni consecutivi), all’Ópera de Las Palmas de Gran Canaria, al Teatre Principal de Palma (Mallorca), allo Staatstheater di Wiesbaden e al Teatro Grande di Brescia».
Una frequentazione assidua con un personaggio che ora la porta a Palermo…
«Vero, è uno dei ruoli che mi appartengono in maniera più connotata e, se vogliamo, completa. L’ho debuttato in Italia all’inizio della mia carriera e sono felice di poterlo reinterpretare in questo meraviglioso teatro che adoro e nel quale torno con molto piacere in questa occasione che rappresenta per il Massimo la riapertura dopo il blocco causato dall’emergenza pandemica. Carmen è una donna estremamente attuale, che incarna l’ideale di libertà, possiede una forza e un carisma unici, è autentica e coerente con le proprie idee ed è ferma nelle sue convinzioni fino a pagarne le estreme conseguenze al punto di sacrificare la sua vita. È un personaggio poliedrico che mi affascina per la sua complessità e per le sue molteplici sfaccettature. Non dobbiamo limitarci all’idea superficiale e stereotipata della femme fatale, perché Carmen è molto di più: è energia, sensualità, passione estrema ma allo stesso tempo si rivela vulnerabile, se non proprio disarmata è profondamente sensibile e a tratti dolente».
«Carmen è una donna estremamente attuale, che incarna l’ideale di libertà, possiede una forza e un carisma unici, è autentica e coerente con le proprie idee ed è ferma nelle sue convinzioni fino a pagarne le estreme conseguenze al punto di sacrificare la sua vita»
Sembra che ci si riconosca molto…
«Sicuramente alcuni caratteri mi accumunano a lei, come l’istintività e il fatto di vivere qualsiasi tipo di sentimento in modo estremo, senza mezze misure. Inoltre, mi ritrovo nella sua spensieratezza ed esuberanza, ma anche nella sua fragilità. Mi rispecchio nella coerenza e nell’onestà che ha con sé stessa. Anch’io sono così, per alcuni versi forte ma allo stesso tempo molto fragile e sensibile! Carmen oggi per me è un mix di colori e profumi, un affascinante contrasto di emozioni da portare in scena. Sono molto contenta di poterlo fare nell’ambito di un allestimento che riprende una regia come quella di Calixto Bieito che amo molto per il suo carattere essenziale, se vogliamo scarno, ma intenso e pregnante, lavorando in maniera molto proficua con un direttore come Omer Meir Wellber e colleghi quali Jean-François Borras, Ruth Iniesta e Bogdan Baciu».
Oltre all’eroina di Bizet, quali altri personaggi la attraggono?
«In verità ce ne sono diversi ai quali sono affezionata che ho plasmato e vissuto e che mi hanno accompagnata in questi anni, penso a Rosina, Angelina, Adalgisa, oppure Suzuki o Dorabella, ma anche a ruoli en travesti come quelli di Nicklausse ne Les Contes d’Hoffmann o di Ascanio in Benvenuto Cellini, Romeo ne I Capuleti e i Montecchi, Orfeo in Orfeo e Euridice, Hänsel in Hänsel und Gretel, Cherubino di Mozart e Mercadante, Siebel nel Faust, Stéphano in Roméo et Juliette, fino ad arrivare a ruoli verdiani come Fenena o Preziosilla e donizettiani come Jane Seymour nella Bolena o Irene nel Belisario che ho interpretato recentemente presso il teatro Donizetti di Bergamo. Sono fortunata perché ho potuto sempre fare scelte adatte alla mia voce e alla mia cifra interpretativa ed oggi mi sento molto appagata. Interpretare tutti questi personaggi è una vera e propria gioia, una sensazione talmente coinvolgente da rendermi sempre difficile il distacco da un personaggio che ho interpretato, che ho fatto mio. Infine, tra i ruoli che non ho ancora interpretato e che mi piacerebbe debuttare, mi affascinano e mi attraggono molto la Charlotte del Werther, Margherite ne la Damnation de Faust, Leonor ne La Favorite, Alceste, Sappho, Elisabetta e Sara per completare il ciclo delle regine donizettiane e, perché no, Octavian!».
Tornando a Carmen, diceva che le pare un personaggio molto attuale: in che senso?
«Trovo che Carmen rappresenti un profilo che ha molto a che fare con il nostro tempo. Esprime un’idea di libertà molto attuale, lontana tuttavia dall’idea individualistica e arida che emerge a tratti nella nostra contemporaneità. Carmen incarna sentimenti, passioni e ideali per i quali sacrifica la sua vita, e lo fa in maniera sofferta ma assolutamente consapevole. Sceglie lei il suo destino, e lo fa senza ipotecare la vita degli altri. E' un tema estremamente odierno».
Pare avere a che fare con la situazione contingente…
«Vede, io ho vissuto in maniera molto profonda il dramma che abbiamo attraversato, e che per molti aspetti stiamo ancora affrontando. Il periodo di chiusura forzata mi ha permesso di riflettere, di uscire da una certa routine sulla quale si era avvitata la mia vita, come quella di tanti altri. Riflettere sulla sofferenza che ha segnato la mia terra, sui valori profondi che accompagnano le difficoltà della vita, anche nelle vicissitudini meno prevedibili, mi ha portato a vivere in maniera diversa. Oggi ogni volta che salgo sul palcoscenico percepisco in maniera più intensa, profonda e consapevole l’emozione di condividere una sorta di rito, di celebrazione collettiva dell’arte.
«La vita è un fatto collettivo, coinvolge l’intera comunità, e il teatro ne è una metafora perfetta»
La vita è un fatto collettivo, coinvolge l’intera comunità, e il teatro ne è una metafora perfetta: si lavora con i colleghi condividendo l’impegno e la felicità di coltivare arte e bellezza, e lo facciamo per il pubblico che sceglie di riunirsi in teatro e celebrare assieme a noi questa stessa bellezza. Come vede, se ci pensa tutto questo rappresenta una bellissima rappresentazione collettiva di arte e libertà, cose delle quali oggi abbiamo estremamente bisogno, anche pensando ai giovani e al futuro che rappresentano: dobbiamo impegnarci ad accompagnarli nel loro percorso attraverso la cultura e aiutarli a riconoscere ed apprezzare la bellezza che ci circonda».