La vita è un sogno intenso e distopico
Parma: Lenz rilegge il capolavoro di Pedro Calderón de la Barca
Il percorso che abbiamo affrontato in occasione del debutto de La vita è sogno, rilettura del capolavoro di Pedro Calderón de la Barca proposto la Lenz Fondazione, ci ha immersi in un immaginario abitato da personaggi, suoni e visioni miscelate con pregnante e originale intensità.
Un cammino, fisico e ideale, concepito come una creazione site-specific da parte di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, a conclusione del progetto quadriennale titolato Il Passato imminente, realizzato per Parma Capitale Italiana della Cultura 2021 e compreso nella sezione estiva della venticinquesima edizione del Festival Natura Dèi Teatri.
Una sorta di installazione drammaturgica itinerante, sviluppata nel paesaggio che circonda l’Abbazia di Valserena, nota anche come Certosa di Paradigna, ex chiesa cistercense alle porte di Parma dalle forme gotiche e barocche fondata nel 1298 e sede, dal 2007, del Centro studi e archivio della comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma.
Un corpo architettonico imponente, adagiato sui prati e i campi circostanti, in un’atmosfera rurale che aiuta ad astrarre lo spettatore dal tempo e dallo spazio contingenti, per entrare in una dimensione “altra”, ponendosi di fronte a una sorta di specchio narrativo che ci rimanda immagini, frammenti di gesti, sequenze video-cinetiche, schegge di voci che sussurrano, urlano, cantano, raccontano attraversando lo spazio di un sogno il quale, dalle tenue luci del tramonto, ci introduce in una penombra che annuncia una notte carica di rimandi.
Un immaginario cangiante che, muovendosi da un lato all’altro del perimetro monumentale dell’abbazia, ci sposta lungo il filo di una narrazione che affonda le proprie radici nell’humus espressivo rappresentato dal lungo lavoro sviluppato da Lenz sul testo di Calderón de la Barca, per miscelarne i risultati in prospettive nuove, dove i diversi personaggi divengono simboli e metafore di una ricerca di senso che non lascia spazio a comode illusioni, o a edulcorate visioni estetizzanti.
La vita – perché di vita si tratta – viene rappresentata in simboli dalla scarnita matericità, quali il relitto di un’auto rovesciata – un incidente, perché un “incidente” è la vita stessa – la sequenza di letti a castello – proiezioni metalliche di nidi-grembo nei quali i diversi personaggi si riposano-rifugiano – l’uso simbolico (più che metaforico) del rimando a figure quali quella della madre gravida – cortocircuito simbolico della morte – o ancora a quella di Gesù, sacrificato da un padre che non fornisce risposte e accompagnato nel buio della notte da una madre inutilmente presente, inerme di fronte al destino – reale o sognato – del figlio.
Un gioco, come già accennato, di specchi e di rimandi, che narra la vicenda del protagonista – il principe Sigismondo – recluso in una torre – qui simbolicamente giaciglio da infante – escluso fin dalla nascita dal consorzio umano poiché destinato da un disegno astrale ad essere malvagio. Il padre-re decide di mettere il giovane principe alla prova del mondo, per avere la certezza che il figlio sia capace di perseguire il bene. Confermando il presagio astrale di una natura malvagia, Sigismondo sarà nuovamente condannato alla reclusione nella torre e all’emarginazione sociale, fino a una rivolta di un popolo ottenebrato che riporterà significativamente la situazione sociale allo stato di vessazione primigenia.
Il fluire di questo intreccio, narrativo e simbolico al tempo stesso, ci ha quindi immerso in una sorta di scenario multiforme, astratto e distopico assieme, abitato con densa e diretta pregnanza dall’ensemble di attori sensibili che Lenz da anni ha reso protagonisti del proprio linguaggio: Barbara Voghera, Paolo Maccini, Carlotta Spaggiari e Tiziana Cappella, intensi e riconoscibili interpreti affiancati dalla coinvolta presenza di Sandra Soncini, Valentina Barbarini e Antonio Bocchi, oltre ai disinvolti ed efficaci performer adolescenti Lorenzo Davini, Daniel Gianlupi, Agata Pelosi.
Una compagine completata dalle voci di Debora Tresanini (soprano), Elena Maria Giovanna Pinna (soprano), Eva Maria Ruggieri (contralto) e Davide Zaccherini (tenore), impegnate nella restituzione essenziale e, per così dire, scarnificata di una selezione di brani tratti dalla Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, interventi vocali innestati con evocativa efficacia sul variegato e suggestivo paesaggio sonoro elettronico creato da Claudio Rocchetti.
Alla fine del viaggio, gli applausi liberatori e convinti del pubblico presente hanno salutato tutti gli artisti impegnati.
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