Un Orfeo lussureggiante
Bel successo di pubblico per la favola pastorale di Striggio e Monteverdi che ha inaugurato il festival di Cremona
Introdotto da una doppia esecuzione dell’iconica “Toccata” – la prima all’aperto, ad allertare i passanti di fronte al teatro Ponchielli, la seconda all’interno a introdurre l’azione sulla scena – il debutto de L’Orfeo di Alessandro Striggio e Claudio Monteverdi ha inaugurato l’altra sera l’edizione 2021 del festival di Cremona.
Basata sulla ripresa dell’allestimento del 2007 dello stesso teatro Ponchielli, la regia di Andrea Cigni ha immerso questa favola pastorale in un’ambientazione tripartita, articolata appunto nei tre ambiti nei quali si sviluppa la narrazione: il mondo terreno – una sorta di “terra di mezzo” rappresentata da un bosco lussureggiante tra le cui copiose fronde si celebra l’iniziale rito nuziale – gli inferi – posti letteralmente sotto la palude che completa il verdeggiante ambiente bucolico iniziale e segnati da un’atmosfera intrisa di un buio plastico e denso di opachi riverberi – e il mondo celeste – sospeso nell’azzurro terso di un cielo sovrastato dall’opulento sole apollineo, dorato e fiammeggiante, al quale faceva da controcanto il dipinto di Jean Delville “Orfeo morto” riprodotto sul sipario, ideale rimando all’altro finale “bacchico”.
Ambienti nei quali la vicenda mitologica, intessuta tra il prologo e i cinque atti che compongono questa favola in musica del 1607, si sviluppa attraverso le azioni dei vari personaggi, la cui gestualità si dispiega qui in maniera misurata e rituale, abitando le scene e i costumi di Lorenzo Cutùli illuminati dalle luci curate da Fiammetta Baldiserri.
Un contesto nel quale gli interpreti hanno trovato una collocazione funzionale, a partire da Mauro Borgioni nel ruolo di un protagonista il quale, se nella prima parte della messa in scena si è mosso con un dinamismo forse un poco vivace – vedi la corsa in tondo –, nel corso dello sviluppo narrativo ha trovato un equilibrio in grado di valorizzare un dato vocale nel complesso ben tratteggiato, soprattutto a partire dall’inizio del terzo atto. Qui, in particolare, il carattere rappresentativo di questa lettura ha offerto forse uno dei momenti più pregnanti, tra il dialogo di Orfeo con Speranza – incorniciato da una visione scenica tra le più efficaci di questo allestimento – per arrivare alla celebre aria “Possente spirto”.
Un dato assecondato anche dai contribuiti degli altri artisti coinvolti, a partire dalla prova di Giuseppina Bridelli (Messaggera e Speranza), tra le più convincenti sul palcoscenico, e il bell’impegno di Roberta Mameli (La Musica e Proserpina), passando per il Caronte di Alessandro Ravasio, il Plutone di Davide Giangregorio, e ancora Cristina Fanelli nei panni di un’efficace Euridice e Luca Cervoni in quelli di un corretto Apollo. Completavano il cast i pastori di Raffaele Giordani, Roberto Rilievi, Danilo Pastore e Guglielmo Buonsanti, le ninfe di Paola Cialdella e Isabella Di Pietro, oltre agli spiriti infernali di Roberto Rilievi e Renato Cadel.
La direzione di Antonio Greco, alla guida del Coro e dell’Orchestra del MonteverdiFestival (maestro del coro Diego Maccagnola) ha condotto il dato musicale attraverso un passo interpretativo che da un lato assecondava l’idea di un dinamismo timbrico, appunto, lussureggiante, e dall’altro cercava di distillare trasparenze espressive non sempre risultate completamente a fuoco.
Grande entusiasmo da parte del pubblico presente, in parte in piedi nel salutare alla fine tutti gli artisti impegnati con applausi convinti e calorosi.
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