Nella diatriba di Strauss vince la musica

La Semperoper di Dresda mette in scena “Capriccio” con la direzione musicale di Christian Thielemann

 Capriccio ( Foto Ludwig Olah)
 Capriccio ( Foto Ludwig Olah)
Recensione
classica
Dresda, Semperoper
 Capriccio
21 Maggio 2021

Se l’infinita diatriba fra il poeta Olivier e il compositore Flamand sul prima le parole e poi la musica (o viceversa) è destinata a rimanere irrisolta nell’opera dell’aurea vecchiaia di Richard Strauss, non c’è proprio discussione su chi abbia la meglio tra la messa in scena e la musica nel nuovo allestimento della Semperoper di Dresda diffuso in streaming attraverso la piattaforma di Arte Concert.

Che quella diatriba sia destinata a non avere un epilogo lo si capisce dall’immagine di apertura con i due ormai vecchi Olivier e Flamand ancora argomentano senza più slancio davanti a un La Roche completamente abbandonato ai ricordi del passato. Non è da meno una decrepita Contessa Madeleine nostalgica davanti allo schermo televisivo che rimanda la sua immagine di un tempo in una residenza dall’aria decisamente dimessa. E non è priva di ironia la scelta dal regista Jens-Daniel Herzog di sviluppare la narrazione su due diversi piani temporali, quello appunto di un presente molto lontano dal tempo nel quale si svolge il nucleo dell’opera, la Germania degli anni di guerra, ossia quelli in cui l’opera venne tenuta a battesimo a Monaco di Baviera.

A differenza di altri allestimenti anche recenti, come quello di Brigitte Fassbaender per l’Oper Frankfurt, qui il riferimento è lieve e limitato alle linee austere di un salone circolare con boiserie e lampade déco disegnati da Mathis Neidhardt, con l’unica traccia di una indicazione verso un “Luftschutzraum” (o LSR, ossia rifugio antiaereo) e di costumi da tempo di guerra di Sibylle Gädeke con l’unica divisa militare di Flamand e variazioni rococò per il gioco del teatro nel teatro che sottende la vicenda. Il resto è uno spettacolo con poche trovate, nessuna sorpresa, di cui del resto l’ultimo lavoro di Strauss per la scena lirica è davvero avarissimo, ma anche estraneo a quella languida nostalgia, che invece scorre generosa nelle ultime opere di Strauss. Se un pregio invece va riconosciuto a questo spettacolo è la cura attoriale, della quale va dato merito comunque anche a un parterre di interpreti davvero strepitosi.

Non è certo una sorpresa Camilla Nylund, che frequenta il ruolo della Contessa da diversi lustri e vanta ancora una prestanza vocale intatta, anche se la sua interpretazione in questo allestimento risulta fin troppo controllata. Ottima la coppia dei “duellanti” per amore Daniel Behle, un focosissimo e vocalmente generoso Flamand, e Nikolay Borchev, un Olivier sornione e spiritoso. Superlativa la prova di Georg Zeppenfeld, un La Roche a tutto tondo, spiritoso quando serve, e capace di prendersi la scena come un attore consumato nel lungo monologo “Holà, ihr Streiter in Apoll!”. Di classe le presenze di Christoph Pohl, un Conte di spiccata eleganza, e Christa Mayer, Clairon vera primadonna della scena drammatica. Non meno riuscite le prove del maggiordomo di Torben Jürgens, del Monsieur Taupe di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke e della divertente coppia di cantanti italiani di Beomjin Kim e Tuuli Takala.

Autentico custode del mondo sonoro tardoromantico al quale anche l’ultima stagione di Strauss rimane solidamente ancorata, Christian Thielemann si conferma l’interprete oggi più autorevole di quel repertorio, che per di più può contare sull’orchestra probabilmente più legata alla memoria del compositore bavarese com’è la Staatskapelle di Dresda. Di questo Capriccio colpisce soprattutto la dimensione intima, quasi cameristica, che fin dallo struggente sestetto introduttivo proietta le sue sonorità trasparenti anche su questa lunga “Conversazione per musica” nella quale il sottotesto musicale non prevarica mai sul dialogo ma quasi ne commenta ogni singola espressione.

Da elogiare la perfetta ripresa soprattutto sonora, mentre va fatto un appunto sulla mancanza di sottotitoli, particolarmente necessaria in questo pezzo che, elaborazioni teoriche a parte, vive dell’inestricabile intreccio di musica e parole e, naturalmente, del loro senso.

 

 

 

 

 

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