Oksana Lyniv debutta all’Opera con un concerto
La direttrice ucraina prossimamente debutterà a Bayreurth ma convince in Čajkovskij più che in Wagner
Ormai una donna direttrice d’orchestra non è più una rara avis e quindi si può saltare a piè pari lo stucchevole discorsetto sulla singolare presenza di una donna sul podio. Oltretutto Oksana Lyniv non gradisce domande sul fatto che è una donna che dirige, indossa una sorta di reinterpretazione del frac maschile, appena ravvivato da una fascia rossa intorno alla vita, e lascia che a parlare di lei sia il suo curriculum, che è cominciato con una lunga gavetta: il terzo premio in un concorso di direzione d’orchestra, gli incarichi presso orchestre e teatri della natia Ucraina, i quattro anni come assistente di Kirill Petrenko, poi le prime scritture da parte di importanti istituzioni musicali internazionali e prossimamente il passo che potrà essere decisivo, cioè l’inaugurazione del prossimo festival di Bayreuth con l’Olandese volante. Il suo concerto all’Opera di Roma iniziava appunto con Wagner, precisamente con l’Idillio di Sigfrido, e proseguiva con la Sinfonia n. 1 “Sogni d’inverno” op. 13 di Čajkovskij, che si è rivelata il vero pezzo forte della serata.
La Lyniv dirige con un gesto ampio, limpido, chiaro. La mano destra usa la bacchetta come un bisturi, dà il tempo con nettezza e precisione totali, senza aggiungere nulla che non sia strettamente necessario. La sinistra generalmente raddoppia la destra e se ne discosta talvolta soltanto per dare indicazioni supplementari, riguardanti soprattutto le dinamiche e i rapporti sonori tra le varie sezioni dell’orchestra, cui la Lyniv è particolarmente attenta. Compito principale della sinistra sarebbe in realtà dare indicazioni espressive, ma dalla Lyniv ne giungono pochissime e anche l’espressione del volto è quasi inalterabile, come si può vedere negli streaming: talvolta un leggero sorriso o un inarcamento delle ciglia, null’altro.
Con queste premesse si potrebbe pensare che il risultato sia un’interpretazione fredda, asettica, priva di carattere. Non è affatto così. La Lyniv non vuole – sembra di capire – sovrapporre la sua personalità a quella dell’autore, e preferisce scavare con amorevole attenzione nella partitura, perché sa che lì, soprattutto nei dettagli e nelle sfumature più delicate, si nasconde ciò che l’autore intendeva esprimere e bisogna trovarlo, trasformarlo in suono, renderlo chiaramente percepibile. Il suo Čajkovskij ha quelle atmosfere sognanti e invernali che il titolo della “Sogni d’inverno” lascia presagire, quindi i colori sono prevalentemente attenuati e malinconici, ma c’è anche altro, molto altro. Questa musica alterna continuamente colori e sfumature diverse: ci sono reminiscenze di danze e canti popolari ma anche un frizzante e mondano valzer viennese, il secondo movimento ha il titolo cupissimo di Terra desolata ma è l’unico dei quattro in tonalità maggiore, mentre il quarto inizia come Andante lugubre ma finisce con un Allegro traboccante di energia, che sembra un tentativo quasi disperato – tipico del compositore russo - di gettarsi alle spalle il pessimismo.
Questa continua variabilità atmosferica è realizzata dalla Lyniv grazie all’esattezza con cui tutti i dettagli e le sfumature vengono da lei resi, senza pretendere di aggiungervi nulla di suo. E l’orchestra segue benissimo quel suo gesto nitido, totalmente privo di quella esteriorità che serve solo a far presa su qualche ascoltatore.
Invece era meno felice l’interpretazione dell’Idillio di Sigfrido di Wagner, che d’altronde non è un brano del tutto convincente, con quei temi presi dall’Anello del Nibelungo e da altre fonti e ridotti prima a dimensioni cameristiche per un tenero e intimo festeggiamento domestico e ritrascritti poi per un’orchestra più ampia a fini puramente commerciali.
Teatro esaurito – d’altronde i posti disponibili erano soltanto cinquecento – e grande successo.
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