Un distillato di Mogwai
Il decimo album dei Mogwai As the Love Continues riassume 25 anni di carriera
In pista da oltre un quarto di secolo, i Mogwai non sono più lo Young Team cui fu intitolato nel 1997 l’album esordio, con il quale divennero immediatamente portabandiera del “post rock” continentale.
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Uomini di poche parole, essendo – salvo rarissime eccezioni – artefici di composizioni strumentali, e per di più campioni di understatement («Il nostro scopo principale è solo fare un po’ di buona musica», ha affermato Stuart Braithwaite, che s’irriterebbe alla definizione “capobanda”, benché in effetti lo sia), hanno costruito pazientemente il proprio successo fino a diventare attrazione da grandi arene quasi ovunque e – con i due lavori precedenti – merce da Top Ten in patria. «Non siamo perfetti sconosciuti, ma nemmeno così famosi», ha sintetizzato in un’intervista Barry Burns.
Dopo un paio d’impegni su scala cinematografica (Kin) e televisiva (la serie ZeroZeroZero del binomio nostrano Sollima/Saviano), attività collaterale inaugurata nel 2006 dalla colonna sonora del celebre documentario su Zidane, la formazione di Glasgow – dal 2015 ristretta a quartetto – si era presentata all’appuntamento con il decimo atto ufficiale del cammino discografico avendo intenzione di realizzarlo oltreoceano insieme a Dave Fridmann, partner sperimentato già in tre altre circostanze, per poi – una volta pubblicato – promuoverlo dal vivo, ossia la dimensione idonea ad amplificarne il contenuto.
Causa pandemia il programma è stato necessariamente modificato, incanalando il dialogo con il produttore statunitense su Zoom e rendendo disponibile la settimana scorsa in streaming uno showcase a soggetto registrato a fine novembre, quando avevano eseguito in sequenza gli 11 brani dell’album, da “To the Bin My Friend, Tonight We Vacate Earth” (frase pronunciata nel sonno da Benjamin John Powers dei Fuck Buttons, raccontano, e posta tale e quale in apertura) a “It’s What I Want to Do, Mum”. Sono episodi tipici: introduzione sommessa, crescente stratificazione di suoni e crescendo catartico. Specialità della casa che come unico equivalente al mondo ha le creazioni degli enigmatici canadesi Godspeed You! Black Emperor.
In As the Love Continues i Mogwai rielaborano dunque i codici consueti: dal mood caratteristico dei primi tempi, evocato in “Pat Stains”, dove all’escalation epica dà il suo contributo l’ultrasassofonista Colin Stetson, allo spleen elettronico esplorato in epoca recente e qui testimoniato da “Dry Fantasy”.
A esemplificarne l’attitudine è tuttavia l’unica concessione al canto, nonché maggiore guizzo pop dell’intera carriera: “Ritchie Sacramento” è sì un’elegia per gli amici musicisti scomparsi, in primis David Berman (onorato ultimamente anche dai Fleet Foxes in Shore e dagli Avalanches in We Will Always Love You), ma ha un titolo che deriva dalla storpiatura di Ryuichi Sakamoto.
Ecco, proprio quel gusto per il nonsense costituisce l’indispensabile antidoto a eventuali interpretazioni troppo seriose di quanto fatto dalla band scozzese: in questo caso un disco solido e soddisfacente.