Lo spettacolo dal vivo, prima che sia troppo tardi

Il MiBACT a confronto con Assolirica in un incontro: sul tavolo i problemi irrisolti di un settore che rischia di non rialzarsi più

Foto Teatro Regio Parma
Il Teatro Regio di Parma
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A volte ritornano: in questo caso sono i problemi irrisolti. Questo in estrema sintesi il quadro emerso martedì scorso, 13 ottobre, in occasione di un forum promosso e organizzato da Assolirica che, in questo periodo oltremodo problematico, ha sentito il bisogno – e l’urgenza – di riunire attorno al tavolo virtuale di una videoconferenza rappresentanti dello spettacolo dal vivo quali Francesco Giambrone, presidente Anfols, Luciano Messi, presidente Atit, Anna Maria Meo, direttrice generale Teatro Regio di Parma e direttrice artistica del Festival Verdi e Gianluca Floris, presidente della stessa Assolirica. Interlocutore istituzionale Onofrio Cutaia, direttore generale per lo spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, che ha partecipato a questo confronto coordinato da Mara Pedrabissi, giornalista del quotidiano Gazzetta di Parma.

E proprio da Parma è iniziato il “giro di tavolo”, all’indomani della chiusura di un Festival Verdi “di compromesso”, realizzato nonostante tutto, come ha illustrato la direttrice Anna Maria Meo: «abbiamo voluto fortemente mantenere l’appuntamento con il Festival Verdi, che abbiamo ridisegnato in una dimensione all’aperto che ha permesso, pur in una situazione rivista, di confermare buona parte di un programma ideato naturalmente in tutt’altre condizioni. In corso d’opera abbiamo inoltre riportato nel nostro teatro parte della programmazione: è stata una decisione repentina – prosegue Meo – dettata dal peggioramento della situazione climatica ma che ci ha messo nelle condizioni di riportare al Regio il pubblico in sicurezza, attuando misure che andavano oltre le prescrizioni dovute alla pandemia in atto e che ci hanno consentito di accogliere fino a 600 spettatori nel nostro teatro». 

«È importante ribadire che venire a teatro è sicuro, anche perché non potremmo sopportare un’altra chiusura totale».

Questo in virtù delle possibili deroghe regionali al tetto massimo di 200 spettatori per gli spettacoli al chiuso da poco riconfermate dal ministro Franceschini (fino a nuovo DPCM, naturalmente). Meo ricorda anche il risultato emerso dal recente studio AGIS, su un campione rappresentativo della pluralità dei generi e dei settori dello spettacolo dal vivo e che copre tutto il territorio nazionale: «è importante ribadire che venire a teatro è sicuro, anche perché non potremmo sopportare un’altra chiusura totale, anche pensando ai giovani, alle nuove generazioni di artisti e professionisti – dai cantanti ai creativi alle maestranze – che oggi rappresentano i soggetti più fragili».

Anche per Francesco Giambrone, presidente Anfols e sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, l’orizzonte è a breve termine: «noi abbiamo gettato il cuore oltre l’ostacolo, reinventando una programmazione dopo un periodo nel quale siamo stati chiusi, anche attingendo per i nostri dipendenti agli ammortizzatori sociali rappresentati dalla cassa integrazione. Ma deve essere chiaro che, al di là della conferma del FUS per la quale siamo riconoscenti, per come stanno le cose e anche pensando al 2021, oggi come oggi non si può che programmare attività su un traguardo di due, tre mesi. Un orizzonte chiaramente problematico e, in prospettiva, insostenibile. Il teatro lirico non vive senza contribuiti pubblici, ma non sopravvive neppure senza pubblico, o con un pubblico presente in maniera così limitata. Di questo dobbiamo essere tutti consapevoli».

«Il teatro lirico non vive senza contribuiti pubblici, ma non sopravvive neppure senza pubblico, o con un pubblico presente in maniera così limitata».

Una consapevolezza ribadita anche da Luciano Messi, presidente Atit e sovrintendente del Macerata Opera Festival: «il problema, oltre a riguardare la possibilità di avere più o meno pubblico in sala, tocca anche tutti gli altri aspetti organizzativi e logistici connessi al fare spettacolo dal vivo: dall’accesso ai camerini agli spazi scenici comuni, e così via. Se è vero che la situazione sanitaria contingente impone di rinunciare a prassi consolidate, è altrettanto vero che chi organizza spettacoli dal vivo deve essere messo nella condizione di poter perseguire nuove soluzioni attraverso, per esempio, prove aperte, diverse geometrie di programmazione, ma dobbiamo essere sostenuti in questi sforzi».

Per il mondo degli artisti, dei cantanti e dei team creativi «la lacuna principale – sostiene Gianluca Floris, presidente Assolirica – è un quadro contrattuale coerente e organico. Manca un reddito di continuità, mancano tutele per quegli artisti che investono tempo, impegno e professionalità in studio e prove e ai quali, ad oggi, viene riconosciuto il compenso solo dopo la prima recita. Il nostro mondo è il più esposto, e non è una questione solo legata a questo periodo. Il fatto è che questa emergenza ha riportato a galla nodi irrisolti da tempo, e ora la situazione non è più sostenibile. Anche le soluzioni di compromesso quali le rappresentazioni in forma di concerto mettono in difficoltà il nostro mondo: il teatro lirico, oltre a orchestre, direttori, tecnici e cantanti, che hanno un ruolo importante, è anche fatto di regia, scene e così via, ambiti animati da gruppi di creativi che oggi sono in serissima difficoltà, specie quelle giovani generazioni che non hanno lavoro e nessun tipo di tutela, e che rischiamo di perdere in maniera irrecuperabile».

A questo panorama il direttore generale Onofrio Cutaia ha risposto condividendo e portando a sintesi i vari punti di vista: «le nostre realtà, voi e il Ministero, non sono su posizioni opposte o contrapposte, ma stiamo tutti dalla stessa parte. Il nostro interesse è, assieme, tutelare i diritti e il benessere dei lavoratori dello spettacolo dal vivo e assicurare al pubblico un accesso alla cultura di qualità. In questo quadro una prima occasione di concreto confronto potrà essere rappresentata dai decreti attuativi della legge del novembre 2017 sul riordino in materia di spettacolo. Ma, oltre alti attori qui presenti, dovrà essere coinvolto anche il Ministero del lavoro, in considerazione del fatto che molti nodi al pettine riguardano le modalità contrattuali e le relative tutele delle parti in causa. Il nostro impegno è confermato – conclude Cutaia – per cogliere questa occasione, pur nell’emergenza contingente, al fine di mutare le cose in meglio, per il benessere di tutti».

Il confronto, che si è concluso con l’auspicio di ulteriori incontri nell’ottica di raggiungere risultati più concreti rispetto a più o meno accorate dichiarazioni d’intenti, ci ha riportato alla memoria le parole pronunciate da Andrea Mascagni – senatore della Repubblica dal ’76 al 1987 e uomo, diciamo così, competente in materia di cultura musicale – nell’ambito di una relazione a un Disegno di Legge del 1986: «la cosiddetta “legge madre”, che ha istituito il Fondo unico per lo spettacolo, ha contribuito a superare una condizione di assoluta precarietà, ma i problemi di fondo dello spettacolo rimangono problemi aperti da affrontare e risolvere con valide riforme».

Dopo trentaquattro anni pare dunque che quei problemi che ieri erano aperti siano ad oggi rimasti irrisolti, per di più acuiti da una crisi contingente che li ha fatti ritornare a galla spinti da un’urgenza ancora più impellente, riaffiorati sulla superficie di quello specchio d’acqua rappresentato dal mondo dello spettacolo dal vivo, che reiterati interessi di parte e ottusi opportunismi hanno reso, a quanto pare, fin troppo stagnante.

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