Sevdaliza, una lettera d’amore a se stessa
Shabrang, il nuovo album della musicista olandese-iraniana, è una raccolta di canzoni scure
Tre anni dopo ISON, album d’esordio dedicato all’analisi dei temi della maternità e del rapporto con la propria madre, Sevda Alizadeh, conosciuta come Sevdaliza, nata a Teheran trentatré anni fa ma arrivata in Olanda con la famiglia come rifugiata quando aveva cinque anni, ritorna con Shabrang, album scurissimo che si allontana quasi totalmente dagli stilemi trip hop del precedente per esplorare i territori del pop sperimentale.
La copertina è inquietante, un primo piano dell’artista con l’orbita dell’occhio destro nera tendente al violaceo: la vita l’ha segnata ma non spezzata, e l’orgoglio traspare dal suo sguardo. Il nome Sevdaliza ha un significato complesso: in arabo si può rendere con “bile nera”, in turco con “amore” e in portoghese con qualcosa che ha a che fare con la malinconia. «Questi tre…sono io!», disse qualche anno fa durante un’intervista pubblicata sulla rivista Dazed in occasione dell’uscita di ISON.
«Quest’album è una profonda lettera d’amore a me stessa, il mio Sacro Graal, che ho dovuto scrivere per avere fiducia nella vita e nell’amore, in me stessa e nel mio personaggio in quanto essere umano».
Il titolo dell’album arriva dalla mitologia persiana: Shabrang Behzād (che possiamo tradurre con “purosangue color della notte”) era il cavallo dell’eroe Siyâvash, simbolo di innocenza nella letteratura iraniana. Benché la traduzione non riesca a catturare pienamente la sua essenza, diciamo che “Shabrang” si avvicina a “tavolozza di colori notturni”, e possiamo vedere questa tavolozza nei video che hanno preceduto l’uscita dell’album, oltreché nelle sfumature di nero del già citato occhio in copertina, simbolo della turbolenza sia fisica sia emotiva attraversata da Sevdaliza negli ultimi anni, col suo corollario di depressione, ansia e insicurezza, temi ben presenti in questo nuovo lavoro.
Il prodotto finale è decisamente più acustico rispetto a ISON, più vicino alle sonorità di The Calling, il suo EP di due anni fa, se vogliamo più stratificato e meno immediato, in definitiva più intimo, toccando temi piuttosto impegnativi.
Per fronteggiare la pandemia, Sevdaliza ha rinunciato al tradizionale tour post-album a favore di un’esperienza virtuale unica, Colors of the Night, concerto trasmesso lo scorso 31 agosto dal Royal Theatre de L’Aia.
“Joanna”, il brano d’apertura del disco, è stato composto soltanto quattro mesi fa ed è uno dei pezzi più vulnerabili scritti finora da Sevdaliza – per sua stessa ammissione realizzato in uno dei periodi più oscuri della sua vita –, una storia universale di amore non corrisposto: inizio epico con melodia di dulcimer e la voce che canta di un amore immortale, un amore che si nasconde in un luogo segreto, un amore affamato e ferito e dunque pericoloso.
Un momento intrigante è rappresentato dalla cover di “Gole Bi Goldoon”, pop song tradizionale incisa nel 1974 dalla cantante iraniana Googoosh, che nelle mani di Sevdaliza si trasforma nel racconto emotivo di un abbandono, col solo accompagnamento di piano e violino, per poi fondersi con la club track post-atomica “Darkest Hour”.
«C’è qualcuno là fuori in grado di farmi uscire dalla mia testa?» - “Habibi”
L’uso misurato dell’Auto-Tune rende affascinante “Habibi”, l’ultimo singolo che ha preceduto l’album, canzone che unisce i talenti di Sevdaliza e del suo produttore Mucky, soffice ballata per pianoforte scritta qualche anno fa a Beirut.
“Oh My God”, avant pop con la voce trattata di Sevdaliza e un basso profondo, fa riferimento alla guerra economica tra Stati Uniti e Iran e alle sanzioni imposte dai primi e risulta uno dei momenti migliori della raccolta, accompagnato da un video delizioso, composto com’è da immagini di Sevda bambina.
Tutto bene, dunque? In realtà ci sono delle pecche: innanzi tutto la durata eccessiva (poco più di un’ora) e poi in alcune canzoni la ricerca quasi ossessiva dell’oscurità sembra essere fine a se stessa. Come già scritto, non siamo di fronte a un disco immediato, ma dopo qualche ascolto ci si arrende alle sue atmosfere, alle sue canzoni dove il Bene e il Male si equivalgono.
Spesso la musica di Sevdaliza è stata avvicinata a quella di FKA Twigs e questo paragone non l’ha aiutata. Shabrang, pur con le sue imperfezioni, ci restituisce un’artista consapevole delle proprie capacità, in grado di dipingere in maniera personale il suo mondo influenzato in egual misura da realtà e immaginazione.
«Voglio essere il tuo segreto, o almeno la sua custode» - “Eden”