Julianna Barwick come una terapia
Healing Is a Miracle di Julianna Barwick offre ambient music terapeutica, con ospite Jónsi
Per ragioni evidenti, “guarigione” è una parola chiave ai giorni nostri. A quel processo rigenerativo attribuisce qualità “miracolose” l’intestazione del nuovo lavoro di Julianna Barwick: quarantunenne compositrice e cantante originaria della Louisiana, dove da bambina fu componente del coro nella chiesa in cui suo padre era pastore. Approdata nel 2000 a New York, cominciò a usare la propria voce da soprano in altro modo dopo che un amico le regalò una loop station, moltiplicandone artificialmente i gorgheggi non verbali. Esibendosi dal vivo e producendo i primi dischi divenne figura di culto in città, al punto da spingere il “New York Times” a definirla nel 2009 “la nuova Enya”: apprezzamento a doppio taglio, in verità. Anche perché, ad ascoltare meglio, dietro una superficiale patina “new age” si nasconde un microcosmo sonoro più complesso.
Esibendosi dal vivo e producendo i primi dischi divenne figura di culto in città, al punto da spingere il “New York Times” a definirla nel 2009 “la nuova Enya”: apprezzamento a doppio taglio, in verità.
Prendiamo Healing Is a Miracle, quarto album in carriera: significativo già nelle premesse, poiché portatore di novità che riguardano sia l’habitat sociale nel quale ha preso forma (l’autrice si è trasferita dal 2016 a Los Angeles) sia la collocazione discografica (ora presso Ninja Tune, etichetta londinese in apparenza distante da lei, essendo radicata nella sfera del clubbing), ma soprattutto un’apertura verso l’esterno mai sperimentata in precedenza. Lo testimoniano gli ospiti che le sono stati complici nella circostanza: l’arpista connazionale Mary Lattimore, che conferisce grazia all’ambient serafica di “Oh, Memory”, e il produttore californiano di scuola hip hop Nosaj Thing, cui si deve la scarna intelaiatura ritmica di “Nod”, in chiusura di sequenza. Il nome di richiamo, tuttavia, è quello di Jónsi Birgisson dei Sigur Rós: «la voce migliore al mondo«, a detta della protagonista, entrata nella sua orbita all’epoca del secondo album Nepenthe, prodotto da Alex Somers, partner abituale dell’artista islandese, qui all’opera nel duetto che anima “In Light”, infuso di spleen celestiale.
In un brano del genere affiora una sorprendente analogia con il “post punk” metafisico dei Cocteau Twins, mentre dall’afflato mistico di “Safe” trapela in controluce il profilo ascetico di Arvo Pärt e l’elegia oceanica che dà titolo all’intera raccolta avvicina Barwick all’affine contemporanea Julia Holter, quando invece “Flowers” contrasta la quiete circostante con un crescendo minaccioso della pulsazione elettronica. Dovendo indicare però un singolo episodio in grado di sintetizzarne la poetica musicale, sceglieremmo “Inspirit”, non a caso deputato all’introduzione.
Forse non farà miracoli, ma Healing Is a Miracle è un disco che potrebbe avere davvero proprietà terapeutiche.