Ravenna Festival, un doppio Beethoven tra arte e impegno
Muti ha diretto la Terza Sinfonia per la Siria, il Quartetto Noûs ha omaggiato Piero Farulli
Un intreccio di ricorrenze e omaggi si è concentrato lo scorso fine settimana nel cartellone della trentunesima edizione del Ravenna Festival: venerdì 3 luglio Riccardo Muti – ritornato protagonista dopo l’inaugurazione del 21 giugno– ha diretto la “sua” Orchestra Giovanile Cherubini tra le suggestioni della Terza Sinfoniadi Beethoven in occasione de “Le vie dell’amicizia” (concerto ripreso poi domenica 5 al Parco Archeologico di Paestum), mentre sabato 4 il Quartetto Noûs ha omaggiato Piero Farulli con un programma che comprendeva il “Rasumowsky” del maestro di Bonn e l’op. 73 n. 3 di Šostakovič.
Certamente Beethoven non avrebbe mai immaginato che i 250 anni dalla sua nascita potessero scoccare in un 2020 segnato dalla pandemia da Covid19, ma la sua musica ha saputo confermarsi fonte di grazia e bellezza, a partire dall’esecuzione della Terza Sinfoniaproposta venerdì scorso alla Rocca Brancaleone ad opera di un’orchestra Cherubini che, per l’occasione, ha accolto tra le proprie fila musicisti della Syrian Expat Philharmonic Orchestra. Il concerto, infatti, è stato offerto a una terra martoriata come la Siria – e dedicato alla memoria dell’attivista civile Hevrin Khalaf (1984-2019) e dell’archeologo Khaled al-Asaad (1932-2015), vittime dell’Isis – nel quadro de “Le vie dell’amicizia. Un ponte di fratellanza attraverso l’arte e la cultura”, meritoria iniziativa che distingue ormai da anni questa manifestazione e che è stata confermata anche per questa edizione.
Ad aprire una serata segnata da una pioggerellina intermittente e birichina, sono state chiamate la musicista Aynur Doğan e l’artista Zehra Doğan, entrambe di origine curda (la prima osteggiata e la seconda incarcerata dal potere turco) in scena per una performance di canto e pittura. Un intreccio di espressioni artistiche decisamente pregnante, dispiegato tra la voce di Aynur, carica di tensioni ancestrali distillate da un’intensità espressiva che affonda le proprie radici in un’antica tradizione popolare, e i gesti con i quali le mani di Zehra hanno plasmato su un’ampia tela un corteo funebre tutto al femminile: donne intrise di mestizia che trasportano il corpo di un’altra donna, il cui viso viene segnato dal grumo rosso lanciato dall’artista quale pollockiano gesto di action painting ma, soprattutto, di denuncia.
Dopo una breve sospensione dovuta alla pioggia e alla conseguente messa al riparo degli strumenti dell’orchestra, la serata ha avuto modo di riprendere con l’esecuzione della Terza Sinfonia di Beethoven, opera letta con palese impegno da una compagine orchestrale guidata con la consueta passione da Muti tra le pieghe di una delle partiture sinfoniche più iconiche del maestro di Bonn. Una lettura che è parsa declinarsi in una prospettiva riflessiva – per quanto possibile, visti i caratteri della pagina – con belle sottolineature dei dialoghi tra classi strumentali, e con intuizioni particolarmente coinvolgenti emerse nel secondo movimento, una “Marcia funebre” densa di espressività, e nel quarto e ultimo “Allegro molto”, dove la vivacità della scrittura ha trovato una risposta particolarmente fresca e coinvolgente nei caratteri timbrico-dinamici espressi dalla compagine strumentale.
La sera dopo, in un clima meteorologico del tutto rasserenato, la dimensione più raccolta offerta dal Quartetto Noûs – Tiziano Baviera violino, Alberto Franchin violino, Sara Dambruoso viola e Tommaso Tesini violoncello – ha proposto un concerto in memoria di Piero Farulli (1920-2012) nel centenario della nascita.
Sulla scorta dell’esplicita dedica “a Beethoven a 250 anni dalla nascita”, il concerto ha preso le mosse dal Quartetto per archi in fa maggiore op.59 n. 1 “Rasumowsky”, opera restituita dai musicisti impegnati attraversando i quattro movimenti con gusto piacevole, se vogliamo leggero – ma non superficiale – nel declinare i differenti caratteri che le diverse sezioni di quest’opera riflettono. Un senso di freschezza emerso da subito nell’esposizione dell’emblematico tema che apre l’opera, per poi svilupparsi negli intrecci strumentali che connotano via via la composizione. Il successivo Quartetto per archi fa maggiore op. 73 n. 3 di Dmitrij Šostakovič ha confermato l’affinità interna di questa formazione, capace di restituire la complessa filigrana di una partitura che miscela momenti di divertissement a tratti grottesco con oasi di profonda indagine espressiva. Un’intensità di lettura dei caratteri e della scrittura del compositore russo emersa anche nel bis proposto al termine della serata: ancora Šostakovič, a testimonianza di una recente incisione monografica realizzata da questa formazione.
Alla fine di entrambe le serate tanti applausi da parte di un pubblico attento, distanziato e appagato.
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