Il gospel distopico dei Mourning [A] BLKstar
The Cycle è il doppio album del collettivo di Cleveland MAB, tra jazz, soul e afrofuturismo politico
«Mourning [A] BLKstar è un collettivo di musicisti, scrittori e artisti formatosi a Cleveland, Ohio. In dialogo con le tecniche di produzione dell’hip hop e la strumentazione suonata dal vivo, siamo i testimoni dei cammini e dei ritmi che hanno sostenuto la Diaspora Africana e altro ancora». Questa affermazione, unita al ricordo del bel disco dello scorso anno, Reckoning, aumenta ulteriormente il mio desiderio di affrontare i 18 brani che compongono The Cycle (malgrado la mia ritrosia verso i dischi che superano i 45 minuti).
– Leggi anche: La protesta nera in 10 canzoni (più 2)
Mossa azzeccata: questa è veramente “musica della comunità” che fa parlare chiunque e spazza via sentimenti e idee non appena sono espressi, che non si fa problemi a fondere politica, sesso e sociale non solo in una singola canzone ma spesso nello spazio di un singolo verso, un singolo coro, una singola linea.
«Sono le canzoni di una diaspora apocalittica» – RA Washington
Formatisi nel 2016, i MAB, guidati dal produttore RA Washington, hanno dato vita a tre album prima di The Cycle, tre invettive contro i peggiori impulsi della società statunitense che, allo stesso tempo, evidenziavano l’esperienza afro-americana dalla loro prospettiva eclettica.
Questa attitudine continua anche nel nuovo lavoro, concepito nel corso degli ultimi tre anni quando, ogni mercoledì, il collettivo, composto da otto musicisti, si è ritrovato dopo l’orario di chiusura nella vetrina di un negozio di Lorain Avenue a Cleveland per comporre e provare nuovo materiale, con i passanti che si fermavano per ascoltare o ballare.
E allora partiamo per questo viaggio afro-futurista: nell’introduzione di “Devil Get behind Me” si sente la voce di Fred Hampton, l’attivista del Black Panther Party ucciso dall’FBI nel 1969, che proclama «il razzismo è una scusa usata per il capitalismo». Queste parole rendono bene l’idea del contenuto di questo progetto, un ritratto di un’America che continua a essere crudele verso i suoi cittadini neri, spesso lasciati indietro. Le poche canzoni d’amore non fanno nulla per ammorbidire il messaggio: sembra di essere nei romanzi di James Baldwin, i cui protagonisti combattono in un ambiente ostile.
Percussioni in loop uscite direttamente dagli anni Novanta e lampi noise fanno da supporto a fraseggi intricati di fiati e alle interazioni tra le voci di James Longs, Kyle Kidd e LaToya Kent. I brani migliori – “Sense of an Ending”, “Be”, “The Wants”, “Mist::Missed”, “Whom the Bell Tolls, “Holds” – ci trasportano in un universo sonoro in cui è facile perdersi, un tributo alla storia del soul mentre si cerca di immaginarne il futuro.
«È una sorta di disco gospel distopico» - All Songs Considered, NPR Music
Come già detto, siamo di fronte a un album doppio e francamente tre o quattro canzoni sono di troppo, ma è una pecca di poco conto. Visti i tempi che stiamo vivendo, The Cycle ha anche il grande pregio di essere attualmente opportuno.