Sei / ascolti #3: Zesses Seglias

I compositori di oggi si raccontano in sei brani che hanno influenzato il loro modo di pensare e scrivere la musica

Zesses Seglias (foto di Charis Karantzas)
Zesses Seglias (foto di Charis Karantzas)
Articolo
classica

Contemporanea o colta che dir si voglia, sono molti i nomi che possiamo usare per definire la musica del nostro tempo. Ma cosa si nasconde dietro quelle sonorità, spesso accusate di apparire troppo ostiche o addirittura cerebrali? Abbiamo chiesto ad alcuni compositori "di oggi" di scegliere sei brani di autori diversi che in qualche modo abbiano esercitato una particolare influenza sul loro modo di pensare e scrivere la musica.

Dopo Zeno Baldi e Francesco Filidei, la terza puntata spetta a Zesses Seglias.

– Leggi le puntate precedenti di Sei / ascolti

Nato a Edessa, l’antica città a nord della Grecia celebre per le sue meravigliose cascate d’acqua, Zesses Seglias manifesta nella sua musica un forte bisogno di fondere il suono della voce al significato della parola. Non a caso gran parte del suo repertorio è dedicato al teatro musicale, dall’opera da camera Hystéra, diretta a Graz da Beat Furrer, alla performance multimediale NAMPHAISE. To the Lighthouse (2017), l’opera tratta dal romanzo Gita al faro di Virginia Woolf su libretto di Ernst Binder per il palcoscenico del Bregenzer Festspiele, ha segnato una svolta nella crescita artistica di Seglias. Dopo gli studi tra Salonicco e Graz, la sua musica viene eseguita da alcuni degli ensemble specializzati più importanti, dal Klangforum Wien al Diotima Quartet e MusikFabrik.

A causa del coronavirus, sono state sospese le esecuzioni di due nuove Conversations previste a New York e al Konzerthaus di Vienna, così come è stata congelata la sua partecipazione all’ultima edizione del Concorso Internazionale di Composizione d’opera di Mannheim, nella quale Seglias risulta essere finalista con un progetto su Lo straniero di Albert Camus, su testo di Sophie Reyer.

1. “Got To Get You Into My Life”, The Beatles

«La musica dei Beatles è stata la mia prima ossessione. Li ho scoperti a tredici anni, e per molto tempo ho ascoltato praticamente solo i loro dischi. Lo svolgimento delle loro canzoni si presenta fluido quanto quello di un brano polifonico rinascimentale: scorrono indisturbate e mi stuzzicano con fare gentile. Una caratteristica che ho cercato di riportare anche nelle mie composizioni. Allo stesso modo il loro utilizzo dei cori hanno influenzato il mio modo di articolare il contrappunto tra le voci dei vari strumenti, permettendomi di raggiungere un risultato sonoro ben preciso. Anche se non posso dire che questa canzone sia in assoluto una delle mie preferite, questa particolare versione, una degli innumerevoli take preparatori registrati nei mitici Abbey Road Studios di Londra, rivela alcuni punti di contatto con la mia opera».

2. La sagra della primavera, Igor Stravinsky

«Rappresenta il primo lavoro basato sul concetto di tonalità allargata con il quale sono entrato in contatto. Già a diciassette anni rimasi meravigliato dalle asimmetrie ritmiche, dal tipo di strumentazione e dal suo sottile lirismo. È stato il primo pezzo che ho studiato da solo, seguendo la partitura. Ero talmente preso che ricordo di aver inviato addirittura una lettera d'amore a una ragazza, nella quale le confidavo che questo è in assoluto il miglior brano musicale mai scritto. Mi rispose che mi sbagliavo, perché il miglior pezzo di tutti i tempi è “Imagine” di John Lennon …».

3. N’Shima, Iannis Xenakis

«Qui Xenakis mette in musica una serie di parole e fonemi ebraici interpretati da “voci contadine, calde, aperte, dal suono rotondo e omogeneo”, così come indicato in partitura dallo stesso autore. Dopo aver studiato l’opera di compositori che insistevano sulla frammentazione della parola, conferendo alla voce un carattere marcatamente strumentale, il mondo vocale di Xenakis mi ha mostrato un percorso alternativo, capace di riportare la voce alla sua natura fisica, corporea. Un legame, quello tra suono e corpo, che fonda le sue radici nel passato, per condurmi allo stesso momento a un risultato totalmente nuovo».

4. “John Finn’s Wife”, Nick Cave and the Bad Seeds

«Avrei potuto citare benissimo Tom Waits o Leonard Cohen per quanto riguarda il mio rapporto con il cantautorato, che va ben oltre la cultura pop, ma Nick Cave è arrivato prima di tutti! “John Finn’s Wife” non è necessariamente la mia canzone preferita, ma è stata la prima a colpirmi senza esitazioni, al punto da spingermi ad approfondire i testi di Nick Cave, così poetici, e l'energia che sono in grado di sprigionare per il tipo di argomento trattato: una narrazione che agisce direttamente sull’espressione della voce e ogni volta con risultati anche molto diversi. Sono tutti elementi che in qualche modo hanno suggerito nuove soluzioni e prospettive alla mia personale visione del teatro musicale».

5. Vortex Temporum, Gérard Grisey

«Mi ha sempre colpito la spiccata sensibilità di Grisey nei confronti del suono e della sua articolazione. Il suo modo di concepire e sviluppare la forma musicale, di rielaborare il materiale sonoro preesistente, è unico. Grisey ha avuto una grande influenza sul mio modo di pensare la musica. I miei studi a Graz si sono focalizzati su di lui, così come alcune sonorità mi sono state suggerite dal suo spirito».

6. Guai ai gelidi mostri, Luigi Nono

«Luigi Nono rappresenta la controparte di Grisey, per il particolare pensiero focalizzato sul suono in sé, quanto per la potenza del suo silenzio. L’innato senso di responsabilità sociale e politica si è rivelato indispensabile a portare la musica oltre il tempo in quanto forma d'arte e pratica artistica. La sua opera è pura bellezza, musica, poesia».

 

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