Vita e morte di Anna Nicole, Violetta del nostro tempo

A Wiesbaden un nuovo allestimento di Anna Nicole di Mark Anthony Turnage, lavoro dedicato alla breve vita di una playmate 

Anna Nicole (Foto Karl & Nicole Forster)
Anna Nicole (Foto Karl & Nicole Forster)
Recensione
classica
Wiesbaden, Hessisches Staatstheater
Anna Nicole 
15 Febbraio 2020 - 19 Marzo 2020

Che Anna Nicole sia la Traviata del XX secolo dubitiamo, anche se qualcosa in comune esiste. Come nell’opera verdiana, la breve parabola esistenziale della playmate Anna Nicole Smith pare un simbolo perfetto per un ritratto impietoso del lato oscuro dell’“American dream” e naturalmente del contesto sociale che lo esalta. Non era una prostituta di alto bordo né incontrò mai il suo Alfredo per il quale consumarsi di amore. Era invece una donna in cerca dei suoi quindici minuti di celebrità più che di ricchi protettori Vickie Lynn Hogan, nata in una sconosciuta cittadina del Texas, Mexia, nota più che altro per la stranezza della pronuncia (“A great place no matter how you pronounce it!” recita infatti il suo motto). Vicky si fa notare come “pole dancer” in locali per soli uomini, prima di farsi riempire il seno di silicone e conquistare così il paginone centrale di Playboy col nome di Vicky Smith nel 1992. Il trionfo arriva due anni dopo quando è la “Playmate of the Year” questa volta con il nome definitivo di Anna Nicole Smith. Per lei e più ancora per la sua femminilità ipertrofica perdono la testa in molti ma soprattutto il già decrepito petroliere miliardario Howard Marshall II, non propriamente un protettore ma un improbabile marito. La coppia si sposa nel 1994 e lei nel 1995 è già vedova. Poi le cose cominciano a non girare più nel verso giusto per Anna Nicole: all’eredità si oppone la famiglia del morto e lei si imbarca in una tregenda legale molto incerta e costosa per i suoi diritti di consorte, si imbottisce di antidolorifici perché quel seno così generoso le spezza la schiena, e si lega al losco avvocato Howard K. Stern che sfrutta quel che resta di lei, compreso vendere a una pay-TV le immagini live della nascita del secondo figlio. Lei mette su peso e diventa ancora di più il fenomeno da baraccone che era voluta diventare per la fama. Ma muore per overdose il suo primo figlio, ancora ventenne, avuto da giovanissima. È la fine: lei si lascia andare e nel 2007 la trovano morta, intossicata dai farmaci, a nemmeno 40 anni nella stanza 607 del Seminole Hard Rock Hotel, Florida. 

Da questa storia vera con qualche personaggio inventato e qualche evento immaginato nasce nel 2011 per iniziativa della londinese Royal Opera House l’opera Anna Nicolecon il brillante e sboccatissimo testo di Richard Thomas e la frenetica musica di Mark Anthony Turnage, disinvolto “melting pot” di generi disparati e di sound contemporaneo impiantato in una struttura tradizionale a numeri chiusi, come un’opera che flirta con jazz e molto pop. A oggi sono piuttosto scarse le riprese del lavoro nonostante la fama del compositore e l’accattivante soggetto. Anche in Germania si ricorda solo un allestimento a Dortmund nel 2013 curato da Jens-Daniel Herzog e in seguito ripreso anche a Norimberga, prima di questo nuovo allestimento andato in scena con successo all’Hessisches Staastheater di Wiesbaden. 

È ricostruita come il flashback della celebre Traviatazeffirelliana la sua storia, ma Anna Nicole è già morta e rinasce dal bozzolo della sacca mortuaria sparando in faccia al pubblico un oscenamente vitale “I want to blow you all” prima di lanciarsi nel racconto della sua vita. Fieramente amorale, quel racconto è reso scenicamente dal regista Bernd Mottl con il contributo fondamentale della coreografa Myriam Lifka secondo i canoni del musical nella scena molto “glitter” e “fluo” disegnata da Friedrich Eggert come gli americanissimi costumi. Davanti alla tribuna con quella “American society” e i suoi molteplici colori con gli occhi sempre puntati su di lei, si svolgono le tappe della sua Via Crucis festosamente oscena con destinazione il nulla a base di farmaci. Bravissima la protagonista Elissa Huber, che canta come deve un vero soprano ma sa anche muoversi come un’artista del musical. Il grosso del peso è sulle sue spalle ma soprattutto Christopher Bolduc, l’avvocatucolo senza scrupoli Stern, Ralf Rachbauer, il chirurgo al silicone di mefistofelica seduttività, Margarete Joswig, la madre Virgie sempre ignorata, si distaccano dall’ottima prova di insieme dei numerosi interpreti e danzatori. Di rilievo anche la prova del Coro dell’Hessisches Staatstheater molto partecipe all’azione, così come quella dell’orchestra del teatro diretta con ottimo senso del ritmo e passo spigliato da Albert Horne.

Spettatori numerosi, molto divertimento, caldi applausi anche all’indirizzo del compositore presente in sala alla prima di Wiesbaden.  

 

 

 

 

 

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