“Caro pubblico”: Pappano parla e dirige
Antonio Pappano inaugura le informali chiacchierate introduttive ai concerti di Santa Cecilia. E intanto prepara le valigie per la tournée in Germania
Il giovedì appena passato c’è stata una novità ai concerti dell’Accademia di Santa Cecilia, ovvero un’introduzione al concerto della durata di un quarto d’ora, non in una saletta a parte, come si faceva prima, ma nella sala stessa del concerto. E la cosa si ripeterà ad ogni concerto: a parlare sarà il direttore o un altro degli interpreti; nel caso che questi non se la sentano, si ricorrerà a un musicologo, o interverrà il presidente stesso dell’Accademia, Michele dall’Ongaro, che ha un talento speciale per la divulgazione. Queste introduzioni all’ascolto hanno il titolo ”Caro pubblico”, perché così Pappano iniziava i discorsetti che rivolgeva al pubblico dal podio prima di dirigere un brano di musica contemporanea, per renderlo più comprensibile e più “digeribile”, riuscendo ad ammansire anche i gli ascoltatori più refrattari.
L’altra sera, con la sua capacità di stampo anglosassone di parlare in modo chiaro e semplice di cose complesse, e anche con l’aiuto di esempi al pianoforte, Pappano è andato dritto al cuore dei brani in programma, per esempio facendo ascoltare una chiara anticipazione di un tema della Nona Sinfonia nascosto nell’ouverture del Re Stefano di Beethoven e anche sbilanciandosi fino a trovarvi un presagio di Mahler, che è un modo per far presa sull’ascoltatore, che poi ascolterà attentamente il brano per captare quei segreti rivelati dal direttore.
Dopo Re Stefano, un brano di raro ascolto che faceva parte delle celebrazioni beethoveniane, il programma proseguiva con il Concerto in mi minore op. 64 di Mendelssohn con la solista Janine Jansen, una delle rappresentanti di quella nouvelle vague di violiniste che sta strappando ai signori uomini il predominio in questo campo. Avevamo già ascoltato quest’olandese quarantaduenne varie volte, in concerti sia cameristici che sinfonici, e abbiamo ritrovato anche questa volta la sua eleganza, la sua sensibilità e la sua delicatezza, che hanno fatto magie nei momenti più raccolti, particolarmente nell’Andante, in cui è scattata quella misteriosa sensazione che si prova quando si avverte che anche gli altri duemila ascoltatori stanno tutti col fiato sospeso ad ascoltare. Non era stato altrettanto miracoloso l’Allegro molto appassionato iniziale, quando la Jansen sembrava non tirar fuori tutte le possibilità di potenza e di colore dal suo Stradivari. Come sempre Pappano è stato un accompagnatore ideale, regolando il volume dell’orchestra su quello della violinista e avvolgendola, soprattutto nel secondo e terzo movimento, in un suono trasparente e leggero come un velo di seta. Molte le richieste di bis, non esaudite.
Nella seconda parte Antonio Pappano ha diretto la Sinfonia n. 1 di Schumann, affrontata con il piglio vitalistico, esuberante e entusiasta che si confà a questa sinfonia, uno dei rari momenti di piena e solare felicità in tutta l’opera di Schumann, che inizialmente le aveva dato il titolo “Primavera”: poi lo cancellò ma la sinfonia continua ad essere chiamata così. Splendore sonoro ed energia motoria dominavano nell’interpretazione di Pappano, ma senza eccessi ed intemperanze, perché Schumann deve conservare sempre il riserbo della sua delicata sensibilità romantica. E nel Larghetto il direttore ha colto perfettamente l’ombra che in quella pagine viene ad incrinare la serena e fiduciosa sanità psicologica prevalente – caso quasi unico in tutta la musica di Schumann – in questa Sinfonia.
Buona – come sempre - la prestazione dell’orchestra, ma in qualche punto si potrà raggiungere un miglior equilibrio tra le varie sezioni nel corso delle repliche romane, in vista della tournée che porterà questo identico programma in alcune delle più importanti città tedesche (Düsseldorf, Monaco, Stoccarda, Amburgo e Francoforte) e si sa che i tedeschi sono molto precisi e pignoli.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.
A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista