Penguin Cafe, minimalismo antartico

Il nuovo, splendido disco della Penguin Cafe parte da una spedizione in Antartide di Simon Jeffes

Penguin Cafe Orchestra - Handfuls of Night
Disco
oltre
Penguin Café
Handfuls of Night
Erased Tapes
2019

Ci sono storie in musica che partono già bene nella presentazione verbale: perché viene rispettato l’equilibrio sottile tra aspettativa creata dalle parole introduttive e concreto dipanarsi della musica, arte di per sé asemantica, come sappiamo. Nel caso della Penguin Cafe, un tempo Penguin Cafe Orchestra, l’aspetto asemantico è sempre stato trascurabile: troppo forte la correlazione (emotiva, iconica, narrativa in genere) stabilita dal compianto Simon Jeffes tra la sua storia, meravigliosamente patafisica, di un’indigestione che aveva portato allo strano sogno “fondativo”: un locale con camerieri pinguini e correlativa orchestrina di volatili in livrea a proporre musiche impossibili fatte con i cocci di tutte le altre musiche.

Sappiamo come sono andate le cose, poi: la Penguin Cafe Orchestra un giorno è svaporata come la sua stessa musica, quando Simon Jeffes è stato rapito da un tumore che non gli ha lasciato scampo. Il figlio Arthur, diversi anni dopo, ha ripreso in mano le redini di quel suono, di quell’humus sonoro, di quel particolarissimo “soundscape” che metteva in conto, di per sé, un equilibrio difficilissimo. La cosa più incredibile di tutte è che c’è riuscito perfettamente. 

Penguin Cafe non è la copia sgualcita e ridondante della prima orchestra pinguina: ne è a tutti gli effetti una continuazione logica ed emozionale al contempo, e chi ha saputo e voluto ascoltare senza pregiudizi le parche uscite discografiche dell’ensemble guidato dal figlio del fondatore (tre, prima di questo nuovo lavoro) concorderà: i dischi della “nuova” Penguin sono gioiellini pensati, suonati, concepiti dall'inizio non come fotocopie, ma come piccole creature curiose e autonome e che, ancora una volta, centrano il bersaglio lontanissimo di funzionare con i lacerti dispersi e riuniti alchemicamente di tante musiche diverse: il minimalismo, certa ambient music, i profili melodici delle rock ballad più struggenti, le misurate battute concesse all’improvvisazione jazzistica, l’eleganza tornita di certo camerismo classico, lo “stupor” avvolgente che circondava certa musica di Canterbury di quarant’anni fa.

Musica terapeutica al Penguin Cafe

Il nuovo disco della Penguin Cafe se possibile sposta l’asticella ancora più in alto, e forse è il disco più coraggioso di tutta la storia ammantata di livree bianche e nere e lunghi becchi: perché questa volta i pinguini reali c’entrano davvero. Racconta nelle note lo stesso Arthur Jeffes che nel 2005 s’è trovato a fare una spedizione antartica sulle orme lontane e dolorose di Robert Falcon Scott, una figura che gli è cara per un motivo piuttosto forte: Scott era il primo marito della sua bisnonna. Così  s’è trovato a ripercorrerne i passi faticosi con una spedizione che aveva in dote il medesimo equipaggiamento edoardiano della spedizione originaria. Settimane nel silenzio fragoroso dei ghiacci, venticinque chili persi per strada e, la sera, un blocco di carta da musica per annotare i frammenti melodici che emergevano. 

Il tutto è confluito in questo Handfuls of Night, dono di Jeffes figlio a Greenpeace a supporto della coraggiosa campagna per la vita in Antartide. La musica è stata suonata con violini, viole violoncelli con corde di budello, percussioni, harmonium, e un piano verticale per assicurare al suono una caratteristica timbrica più argentina e scampanellante.

La musica questa volta è “pinguinescamente” al quadrato: mantiene le caratteristiche del gruppo storico, ma al contempo incorpora un tratto di malinconia e di solitudine raggelata davvero commovente, in più d’un tratto. E, al solito, le linee melodiche sono tanto semplici  quanto misteriosamente calibrate.

Minimalismo antartico? Anche.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

oltre

Il mosaico musicale di Fennesz

Dopo cinque anni, un disco nuovo dal maestro austriaco dell’ambient

Alberto Campo
oltre

Il mito di Orfeo secondo Sarah Davachi

In The Head as Form’d in the Crier’s Choir la compositrice canadese trae ispirazione da Claudio Monteverdi e Rainer Maria Rilke

 

Alberto Campo
oltre

La morbida confusione di Mabe Fratti

Sentir Que No Sabes è l’inconsapevole capolavoro della violoncellista e cantante del Guatemala

Alberto Campo