Trilogia d'autunno tra Aida e Norma

Al Ravenna Festival la drammatica nobiltà dell’eterno femminino

Aida
Aida
Recensione
classica
Ravenna, Teatro Alighieri
Ravenna Festival, Norma, Aida
01 Novembre 2019 - 02 Novembre 2019

Nella sua Storia della bellezza (Bompiani, 2004) Umberto Eco, a proposito della bellezza romantica, annota: «La bellezza amorosa è una Bellezza tragica, di fronte alla quale il protagonista è inerme e indifeso.» Una definizione che può richiamare la cifra che ha segnato la declinazione tutta al femminile della “Trilogia d’Autunno” andata in scena lo scorso fine settimana sul palcoscenico del Teatro Alighieri quale estrema propaggine del Ravenna Festival 2019. Delle tre opere in cartellone – NormaAida e Carmen – abbiamo seguito le prime due – nelle “prime”, rispettivamente, di venerdì 1 e sabato 2 novembre – condividendo le differenze e le assonanze di letture naturalmente diverse, che hanno messo in scena la dicotomia – antica e modernissima assieme – che sovrappone e contrappone il lato pubblico e quello privato della donna, simbolo di bellezza amorosa ma anche di nobiltà “politica”.

 

Il nuovo allestimento di Norma – una coproduzione Ravenna Festival, Teatro Alighieri di Ravenna, Teatro Galli di Rimini – ha proposto la regia e ideazione scenica di Cristina Mazzavillani Muti, coadiuvata dalle scene e visual design di Ezio Antonelli, light design di Vincent Longuemare, programmazione video di Davide Broccoli e costumi di Alessandro Lai. Tra sovrapposizioni visive, dove la foresta sacra si dissolveva di volta in volta in luoghi “altri” quali il tempio o l’abitazione della protagonista, si sono mossi gli attori della tragedia lirica dove Bellini a distillato uno degli esempi più ispirati del suo teatro musicale. Seguendo itinerari scenico-drammaturgici a tratti un poco statici, abbiamo seguito Vittoria Yeo nel ruolo eponimo, il cui segno interpretativo è cresciuto nel corso della rappresentazione arrivando a tratteggiare nel secondo atto una Norma contrassegnata da una partecipata drammaticità, affiancata da Asude Karayavuz nei panni di un’Adalgisa restituita con buona continuità, mentre Giuseppe Tommaso, a causa di un’indisposizione, ha potuto offrire al ruolo di Pollione la sola presenza scenica, con la parte vocale cantata nell’angolo del proscenio con apprezzabile impegno dal tenore Riccardo Rados, a sua volta sostituito nel ruolo di Flavio da Andrea Galli. A completare il cast l’Oroveso di Antonio Di Matteo e la Clotilde di Erica Cortese. Il dato musicale è stato gestito con impegno equilibrato da Alessandro Benigni alla guida di un’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini compatta nel seguire le indicazioni del direttore, così come il Coro Luigi Cherubini e il Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini (maestro del coro Antonio Greco).

 

Con Aida – coproduzione Ravenna Festival, Teatro Alighieri di Ravenna – l’impianto registico-visivo, sempre ideato da Cristina Mazzavillani Muti affiancata dalla sua squadra di collaboratori in questa occasione completata da Anna Biagiotti (costumi, con l’assistente Sofia Vannini) e da Lara Guidetti (coreografie), ha optato per un descrittivismo che ha segnato i primi due atti attraverso una narrazione olografica delle ambientazioni egizie, ma che ha saputo virare di segno nella parte finale e più intima dell’opera di Verdi, dove i fondali scuri e neutri e l’uso funzionale delle luci hanno proposto una visione drammaturgica più connotata ed efficace. In questo panorama si sono mossi l’Aida emotivamente partecipe di Monika Falcon, l’Amneris di buon carattere di Ana Victória Pitts e il corretto Radames di Azer Zada. Tra gli altri protagonisti sul palcoscenico da citare l’Amonasro di Serban Vasile, Il Re d’Egitto di Adriano Gramigni, oltre alla Grande Sacerdotessa di Maria Paola Di Carlo e al messaggero di Riccardo Rados. Funzionale l’inserto coreografico che ha visto protagoniste le alter ego di Aida e Amneris (Lara Viscuso e Lara Guidetti), mentre un’oasi di pathos è stata innestata, prima dell’ultimo atto, dall’intervento in proscenio del soprano turco Simge Büyükedes impegnata a interpretare un lamento funebre dal poema Makber, scritto a seguito della morte della moglie Fatma da Abdülhak Hâmid Tarhan, una delle figure chiave del Romanticismo turco. Nicola Paszkowski ha gestito orchestra e palcoscenico con buon impegno e alcuni scompensi dinamici, comunque correttamente riequilibrati nel quadro dell’impianto generale.

 

Entrambe le opere hanno goduto della calorosa accoglienza da parte di un pubblico che ha esaurito il teatro (tanti gli stranieri, come ormai inizia a essere tradizione consolidata qui a Ravenna) con applausi copiosi e generosi indirizzati a tutti gli artisti impegnati, a suggello di queste rappresentazioni che hanno reso omaggio a un eterno femminino intriso di quell’ideale “bellezza tragica” di fronte alla quale non si può che rimanere “inermi e indifesi”.

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