l'Africa globale di Bantou Mentale
Bantou Mentale è album d’esordio del nuovo gruppo di Liam Farrell, alfiere del suono afro-tecnologico
Come riportato nel comunicato stampa dell’etichetta Glitterbeat dedicato a Bantou Mentale, «siete in un club parigino – il Djakarta, il Mbuta Lombi o il Lossi Ya Zala. Non proprio ovunque a Parigi ma in quel febbrile paesino africano chiamato Château Rouge, nel decimo arrondissement. Sembra di essere a Matongé, Kinshasa downtown, oppure al Grand Marché, in centro. Vi sentite a casa».
Bantou Mentale, la Parigi-Kinshasa di Doctor L
Il suono di Bantou Mentale è proprio questo: soukous e ndombolo passati attraverso il setaccio del rumore parigino, dell’hip hop, del funk psichedelico, del rock e della tecnologia occidentale. Château Rouge è Blade Runner in chiave africana: se ci abiti, spesso non hai i documenti, e allora automaticamente sei un cittadino del mondo e del mondo ascolti i ritmi e le musiche, li imbastardisci e li fai tuoi.
I quattro musicisti che hanno dato vita a questo gruppo non sono proprio dei pivellini: il batterista Cubain Kubeya ha fatto parte dei gruppi più interessanti usciti dalla Repubblica Democratica del Congo negli ultimi anni – Staff Benda Bilili, Konono No. 1, Jupiter & Okwess e Mbongwana Star; il chitarrista Chicco Katembo ha militato negli Staff Benda Bilili prima di trasferirsi a Parigi per stare vicino alla madre; il cantante Apocalypse è un ex-allievo dell’orchestra di Koffi Olomide, l’imperatore del soukous congolese contemporaneo, e Liam Farrell – che qualche mese fa avevamo intervistato a proposito proprio del nuovo progetto Bantou Mentale – polistrumentista e produttore, vanta una serie impressionante di collaborazioni, dai Mbongwana Star a Tony Allen.
«Bantou Mentale non è un progetto, è una band: tre ragazzi neri, uno bianco. E chi se ne frega? Come disse il profeta e grande leader anti-colonialista congolese Simon Kimbangu quasi un secolo fa, il nero diventerà bianco e il bianco diventerà nero».
Dodici canzoni che affrontano temi quali quello dei clandestini rinchiusi nei centri di detenzione nel deserto (l’iniziale “Zanzibar” e la conclusiva “Sango”, a dare un senso circolare all’album), quello dell’incertezza feroce e dell’amicizia tra migranti (“Château Rouge”, già pronta a diventare l’inno dell’omonimo quartiere), quello del divertimento (“Papa Jo”, omaggio alle feste danzanti nelle case sgangherate di Kinshasa), quello dell’amore (“Suabala”, con il suo ritmo che arriva dalla grime) e quello delle conversioni forzate messe in atto dai missionari nei confronti dei bambini africani (“Boloko”).
Bantou Mentale è un viaggio all’interno dell’incertezza odierna ma è anche un viaggio nella gioia, la cui meta è il cuore della luce. Si viaggia rigorosamente senza bagaglio, bisogna essere cittadini di nessun luogo e contemporaneamente di ogni luogo.