Il Principe di Henze canta la libertà
A Stoccarda ripresa per Il Principe di Homburg di Hans Werner Henze, a pochi mesi dalla prima nella scorsa stagione
Un Amleto del Brandeburgo, un sognatore che agisce ispirato dal sogno questo Friedrich Artur, Principe di Homburg, generale di cavalleria guidato dai (pre)sentimenti più che dal senso della rigida disciplina prussiana.
Lancia i suoi uomini all’attacco del nemico prima che l’ordine venga dato dal comandante supremo, il Principe Elettore Friedrich Wilhelm di Brandeburgo, che rischia la vita per quell’agire precipitoso e irrispettoso delle gerarchie. La battaglia è vinta e il nemico sconfitto batte in ritirata, ma quell’atto di intollerabile insubordinazione va punito: la corte marziale lo condanna a morte ma basterebbe la sua ammissione di colpa per ottenere il perdono del Principe Elettore e salvarsi la vita. Ma ammettere la legittimità della sentenza sarebbe ammettere la propria colpa e Friedrich rifiuta. È già davanti al plotone d’esecuzione, bendato, quando il Principe Elettore gli scopre gli occhi e lui scorge l’amata Natalie e tutti gli altri ufficiali riuniti per accoglierlo come trionfatore in battaglia. Sta ancora sognando?
Iconica rappresentazione dell’idealista che sfida la legge della guerra con la forza della sua convinzione, della forza delle idee contro l’establishment, Friedrich Artur di Homburg non poteva non incrociare il proprio destino con Hans Werner Henze. È Luchino Visconti a consigliare al giovane Henze e all’amica Ingeborg Bachmann Il Principe di Homburg di Kleist come possibile soggetto di un’opera. A Henze sembra l’occasione per riflettere su come la Germania in cerca dell’identità perduta dopo il 1945 può sviluppare una nuova identità basata su libertà, solidarietà e pace.
Con Bachmann, Henze si mette al lavoro e l’opera va in scena ad Amburgo nel 1960. Di quel lavoro il compositore dirà che l’essenza «è la cieca applicazione senza immaginazione di leggi e la glorificazione della benevolenza umana, la cui comprensione arriva anche a aree più complesse e profonde di ciò che sarebbe il “normale” e permette all’uomo di trovare il suo posto nel mondo anche da sognatori o sentimentalisti, o forse precisamente per quello». Difficile non leggere in queste parole anche una polemica del musicista legato alle forme del passato che si oppone all’autoritarismo di Darmstadt e del suo serialismo dogmatico.
Tramontati quei tempi, le opere di Henze sono fortunatamente ben presenti nelle scene d’opera soprattutto dei paesi di lingua tedesca, dove il compositore ha ormai la statura di un classico. E come un classico, la Staatsoper di Stoccarda riprende a distanza di soli pochi mesi dalla prima della scorsa stagione l’allestimento del Principe di Homburg di Stephan Kimmig, che spoglia di qualsiasi riferimento storico la vicenda. Siamo in uno spazio chiuso, una sala di mattatoio abbandonato con le pareti ricoperte da piastrelle bianche sbrecciate e asettiche (la scena è di Katja Haß). Un non-luogo, dunque, che si presta a dare alla vicenda un carattere di parabola libertaria con solo qualche segno che allude agli eventi della trama (gli ufficiali prussiani che si tingono di sangue prima della battaglia imminente, i lampi espressionistici che colorano le pareti bianche). Nell’ultimo atto un efficace gioco di specchi esalta la dissoluzione delle certezze e della realtà, prima del finale un po’ didascalico con i personaggi in proscenio e sciarpe con slogan da agit-prop.
Ottima la realizzazione musicale dell’Orchestra di Stato di Stoccarda guidata in questa ripresa dal giovane direttore Thomas Guggeis, che dipana con esemplare chiarezza la composita e rigorosa trama musicale della partitura di Henze, erede della tradizione della Seconda Scuola Viennese, e dà adeguato rilievo alla dimensione lirica soprattutto nelle parentesi sognanti del Principe Friedrich. Senza debolezze il cast vocale, che dipana in Christian Miedl un protagonista di intima musicalità. Štefan Margita conferisce al suo Principe Elettore, risolto con una ancora solida resa vocale, un carattere pensoso e crepuscolare. Senza svenevolezze la Natalie secondo Vida Miknevičiūtė, svettante nei complessi virtuosismi vocali, mentre il lunare Hohenzollern di Moritz Kallenberg diventa quasi un alter ego dell’amico e confidente di Friedrich.
Molti vuoti in sala, ma applausi calorosi.
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