Zimerman & Co per Brahms
A Milano il Quartetto inaugura la nuova stagione
Il concerto inaugurale della nuova stagione della Società del Quartetto si è aperto – nella consueta cornice della Sala Verdi del Conservatorio di Milano, particolarmente affollata per l’occasione – con un sentito ringraziamento della Presidente Ilaria Borletti Buitoni, rivolto al pubblico e soprattutto agli abbonati, che continuano a sostenere con la loro presenza chi ancora crede nell’importanza della musica da camera, nella convinzione che una comunità dove la musica fa sentire la propria voce sia una comunità che vive meglio.
Il programma della formazione da camera in cui spiccava la presenza di insieme a dei giovani musicisti – Marysia Nowak al violino, Katarzyna Budnik alla viola e Yuya Okamoto, al violoncello – inizialmente comprendeva anche il Quartettensatz di Gustav Mahler, ma è stato in realtà ‘ridotto’ ai soli due Quartetti di Brahms già previsti, come recitava un avviso inserito nel libretto di sala. Un peccato non poter ascoltare questa rara pagina di un Mahler ancora studente, forse è stata valutata la considerevole durata complessiva dei due lavori di Brahms, di fatto il compositore del pieno romanticismo viennese ha monopolizzato la serata, risultato affascinante ma anche leggermente monocolore.
Già da quel punto fermo che il pianoforte stabilisce all’inizio del Quartetto op. 60, il terzo scritto da Brahms e il primo a essere eseguito, si è ben capito il ruolo che Zimerman ricopriva all’interno del gruppo, ovvero di “primus inter pares”, guida insostituibile che tuttavia non prevaricava in alcun modo il ruolo degli archi. Così, in un eccellente amalgama timbrico complessivo, sono emersi quegli eccezionali equilibri, veri e propri effetti di chiaroscuro, che la scrittura del viennese ci ha consegnato e che l’acustica della Sala Verdi rendeva ben intellegibile. Ottimo il livello dei giovani interpreti che collaboravano col pianista polacco, con un plauso al violoncellista Okamoto, classe 1994, che si è messo ben in evidenza in quella sorta di assolo con cui si apriva lo Scherzo di questo brano, ma nell’ultimo tempo (Allegro comodo) è complessivamente mancato un po’ di corpo al gruppo degli archi, mentre Zimerman è sembrato contenersi proprio per non sovrastarli, malgrado il ruolo tutt’altro che secondario che Brahms affida al pianoforte.
Più convincente l’esecuzione del Quartetto n. 2 op. 26, lavoro ampio ed estremamente complesso nella sua articolazione, nel quale l’eccezionale controllo dinamico e timbrico che il pianista polacco possiede insieme a una incredibile sensibilità espressiva hanno costituito le fondamenta su cui hanno potuto agevolmente inserirsi i tre strumenti ad arco. Indimenticabile il sublime effetto raggiunto dagli esecutori nel movimento lento – l’incantevole Poco adagio che purtroppo è stato funestato da un altrettanto indimenticabile squillo di un telefonino lasciato inopportunamente acceso – mentre nel conclusivo Allegro alla breve tutta l’energia ritmica impressa da Brahms è arrivata al pubblico, travolto da un piacevolissimo fiume sonoro in piena. Esecuzioni di alto livello certamente, alle quali il pubblico ha risposto con ripetuti applausi al termine della serata. Eppure si è sentita una certa mancanza di slancio ed entusiasmo da parte dei giovani musicisti – Brahms può essere persino più trascinante – mentre Zimerman in più di un’occasione è sembrato trovarsi leggermente avanti, sia con le intenzioni che col tempo. Per ricordarci forse che un Quartetto può raggiungere il suo apogeo quando assomiglia in tutto e per tutto a un’automobile con quattro ruote motrici.
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