Il modesto regalo di Colonia a Offenbach
Nella città natale del compositore va in scena un deludente allestimento della Grand Duchesse de Gérolstein
L’atteso festeggiamento per il duecentesimo compleanno di Jacques Offenbach della sua città natale alla fine arrivò e fu un mezzo disastro. Come un pesante pachiderma che provasse a spiccare un impossibile volo, non ce la fa davvero a decollare la nuova Grande Duchesse de Gérolstein allestita dall’Opera di Colonia negli spazi infelici della Staatenhaus, ancora costretta a un esilio di cui non si vede ancora la fine dalla casa nella Offenbachplatz. Si stenta a credere che si possa provare noia e anche un po’ di irritazione davanti a uno dei capolavori del Mozart degli Champs-Elysées eppure è così, a riprova, se ce ne fosse bisogno, che far ridere è un affare tremendamente complicato. Principale artefice di questo modestissimo regalo di compleanno è la coppia Renaud Doucet&André Barbe, che torna al grande Offenbach dopo la graziosa Belle Hélène ripresa di recente all’Opera di Stato di Amburgo. Anche chiudendo gli occhi sull’insensata attualizzazione dall’ambiente militaresco originale a un accampamento di bellicosi ecologisti mobilitati a difesa dei rospi e dell’ambiente (ed è già un limite pesante alla satira antimilitarista di Meilhac&Halévy), si fa fatica a dare un senso al guazzabuglio confuso e pasticciato che assomma in un amalgama impossibile le grevi attualizzazioni del testo originale (generalmente accolte da un gelido silenzio in sala), per di più recitate in tedesco quando invece il testo delle parti musicali è cantato nell’originale francese, le invadenti coreografie di Cécile Chaduteau, i movimenti impacciatissimi del coro, gli interpreti abbandonati a se stessi. Va vagamente meglio strada facendo e soprattutto nel terzo atto che può anche contare su qualche felice invenzione (vedasi la sinistra “chambre rouge” affollata di fantasmi o la gara equestre nel galop dell’intermezzo fra i due quadri del terzo atto), affogata tuttavia dall’horror vacui che distingue questa maldestra produzione.
È soprattutto grazie all’impegno del “capitano” François-Xavier Roth se non si assiste a un naufragio senza superstiti: il direttore musicale dell’Oper Köln riesce davvero rendere al meglio il marchio di fabbrica di Offenbach nell’indiavolato brio degli ensemble, nei quali almeno lui tiene le redini ben salde, ma anche nelle molte raffinatezze musicali di cui questa partitura è assai generosa. Roth prova anche a partecipare allo spettacolo con gli spiritosi e bravi musicisti della Gürzenich Orchester, la cui qualità musicale è il vero regalo di compleanno a Jacques Offenbach, nonostante l’appesantimento provocato dai lunghi e insensati dialoghi.
Quanto agli interpreti, scontato che ancora non si veda in giro una nuova Hortense Schneider, la mitica creatrice del ruolo capace di attirare teste coronate da mezza Europa, l’un tempo belcantista di razza Jennifer Larmore si aggiunge alla lista delle interpreti mature come usa oggi, ma resta ben lontana dalla classe scenica di una Felicity Lott o di una Ann Sofie von Otter per citare solo due fra le più recenti interpreti del ruolo della Granduchessa. Dino Lüthy è un Fritz di buone qualità vocali ma è servito malissimo dalle volgarità della regia e stenta anche a emergere la Wanda di Emily Hindrichs sebbene si intuisca una certa musicalità dell’interprete. Ha invece un certo garbo di altri tempi il trio buffo del generale Boum, del barone Puck e del principe consorte Paul, rispettivamente Vincent Le Texier, Miljenko Turk e John Heuzenroeder. Poco da dire sul resto, compreso il versatile gruppo di danzatori che danno quanto meno un po’ di movimento.
Qualche vuoto in sala già alla seconda recita e accoglienza tiepida.
Da segnalare un’interessante mostra “tascabile” nel foyer della Staatenhaus dedicata a Jacques Offenbach da un’insolita prospettiva d’oltre Reno.
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