Il sentimento popolare di Camilla Barbarito

Esce per Felmay il disco della cantante Camilla Barbarito, un viaggio nel mondo degli ultimi, dalla Grecia al Sudamerica

Camilla Barbarito - sentimento popolare
(Foto di Beniamino Barrese)
Disco
world
Camilla Barbarito
Sentimento popolare
Felmay
2018

Il giro del mondo in tredici canzoni. Partenza e ritorno a Milano, ma non quella che rimpiange con sospetta intermittenza il tempo perduto e un po’ magico dei navigli e del cabaret feroce, e neppure quella che si sente sempre e solo unico degno approdo europeo. Una Milano delle persone, senza né paraventi ideologici asfissianti (anche se in questo disco ci si schiera eccome: dalla parte dei penultimi e degli ultimi, sempre e comunque) né abdicazioni facili alla retorica del come eravamo una volta. Una Milano di oggi, senza altri aggettivi a descrivere.

È il campo d’azione di Camilla Barbarito, voce luminosa formatasi sulla palestra dura del canto lirico, sull’approccio più morbido ma senz’altro non meno impegnativo della vocalità jazzistica, e infine approdata al mondo delle note apolidi che hanno la carta d’identità multiple, grazie anche a un bel po’ di viaggi. Aggiungete al tutto che Barbarito ha una presenza scenica indiscutibilmente forte, frutto di una vita parallela e allineata alla musica, però nel mondo del teatro, e una vorace curiosità per tutto quello che smuove emozioni vere, in musica, e avrete una buona introduzione a questo disco. Fresco, caotico, spesso frastornante, perennemente in bilico tra forze e latitudini che giocano a far perdere l’equilibrio. Dove capita di imbattersi in un  nostalgico e ombroso rebetiko ("I Mangues then iparhounm pia") che sembra fiammeggiare di acidità psichedelica, e in un brano dello stesso stile “maledetto” ("kaigomai kaigomai") che invece è un acquerello straziato di suoni acustici che, più che volgere lo sguardo al Pireo, fanno pensare a un maqam arabo. 

Oppure può capitare di scovare un brano ecuadoriano di yaravì, a sua volta figlio dello stile harawi, e sciogliersi in un lago caldo di romanticismo, o, ancora, imbattersi nella “bella ciao” dei senegalesi, che si intitola "Niani Bagna", e racconta la storia di un villaggio che seppe resistere a tutti gli invasori (europei in primis, ovviamente) che tentarono di piegarlo.

Ci sono poi scampoli di note Rom macedoni, un lacerto di tammurriata campana, un tributo a Nino Rota, uno a Caceres, il cantore delle origini afroamericane del tango. Il “sentimento popolare” del titolo, insomma, mette in conto un gran disordine creativo. Che, come sempre accade con le cose sentite nel profondo, a un ascolto attento in fretta si ricompone in un quadro armonico in cui ogni tessera è al posto giusto, e dialoga con tutte le altre.

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