Agora nella cameretta di Fennesz
Agora è il primo disco in cinque anni del produttore viennese Christian Fennesz, registrato in casa
Come si usa dire: «Non tutti i mali vengono per nuocere». O, in forma più sofisticata, citando Demostene: «Esiste un’isola di opportunità all’interno di ogni difficoltà». E a proposito di Grecia antica, Christian Fennesz – da un quinquennio assente dalle scene discografiche – ha intestato il suo nuovo album, settimo in carriera, all’agorà: luogo della democrazia a cielo aperto.
Curioso che la musica designata da quel vocabolo sia stata concepita e realizzata nello spazio angusto di una cameretta: ecco il disagio subito dal cinquantaseienne compositore viennese, momentaneamente sprovvisto di un proprio studio. «All’inizio era una situazione frustrante, ma in seguito è stato come tornare al periodo in cui producevo i miei primi dischi, negli anni Novanta», ha spiegato introducendo l’opera.
Ciò non significa necessariamente un ritorno al passato in termini espressivi: riguarda semmai – immaginiamo – l’attitudine con la quale è stato affrontato il lavoro, derivata da limitazioni pratiche, dalla problematicità del cablaggio fra le varie apparecchiature alla necessità di registrare in cuffia. Quest’ultimo aspetto equivale a un suggerimento d’ascolto: tale condizione consente infatti di apprezzare al meglio la stratificata complessità del suono, che viceversa si smarrisce a basso volume e in modalità “sottofondo”. Sarebbe dunque improprio parlare di “ambient music”: lo è in apparenza, ma si tratta d’altro. Articolato in quattro episodi dalla lunghezza superiore ai dieci minuti, Agora sembra voglia ostentare piuttosto qualità sinfoniche.
Lo si percepisce in particolare nel brano conclusivo, “We Trigger the Sun”, la cui solenne e maestosa serenità è screziata da enigmatiche interferenze elettroniche. In “Rainfall” si ha invece la sensazione di assistere a un allestimento cameristico dentro un imponente cantiere industriale. Là e nel movimento successivo, che dà titolo alla raccolta, si capta – riguardo ai dettagli nascosti – la presenza di una voce femminile, mimetizzata fra le pieghe di architetture costruite filtrando la chitarra elettrica attraverso il laptop (da sempre specialità della casa). All’inizio della sequenza è posto l’eloquente “In My Room”, spinto da una pulsazione sotterranea e dominato da un barrito di fiati sintetici capaci di abbattere le mura di qualsiasi Gerico.