Akiko Yano, il ritorno della Japanese Girl

Wewantsounds ripubblico il bizzarro album della cantante Akiko Yano, tra folk nipponico e rock sudista (ci sono i Little Feat!)

Akiko Yano - Japanese Girl
Akiko Yano
Disco
pop
Akiko Yano
Japanese Girl
Wewantsounds
2019

Anche se magari a chi ascolta da longitudini occidentali il suo nome potrebbe dire poco, Akiko Yano è in realtà un’artista da sempre popolare nella musica giapponese.  Non solo per i suoi matrimoni con il pianista e produttore Makoto Yano e, nondimeno, con Ryuichi Sakamoto, ma anche per un’attività ormai più che quarantennale che conta quasi una trentina di dischi a proprio nome.

Caratteristica della cantante giapponese è sempre stato un forte legame con le traiettorie della musica statunitense, con riferimento a una palette piuttosto varia, dal rock all’avanguardia, passando per il jazz più raffinato (Pat Metheny, Peter Erskine, Charlie Haden tra gli altri), connubio non certo raro nelle vicende della musica giapponese, ma che nel caso della Yano sembra piuttosto istintivo e, come vedremo, armonizzato senza troppi patemi con elementi linguisticamente più connotati.

Japanese Girl, il suo debutto solista datato 1976, torna ora in una splendida versione in vinile per Wewantsounds e ci fa riscoprire l’originale miscela di pop, rock sudista, folk nipponico che lo caratterizza. La prima metà è infatti incisa a Los Angeles con i Little Feat e sin dalle prime note di “Kikyu Ni Notte” non c’è alcun dubbio: siamo in pieno territorio sonoro Lowell George e soci.

 

L’effetto sorpresa lascia presto il posto a un’affascinante energia, seguendo la voce di Akiko che si inerpica con angolazione acidule sui groove della band. Le melodie, anche quando echeggiano scale e modalità tipicamente giapponesi, si sposano alla perfezione con il solido impianto dei Little Feat, shakuhachi e chitarra si prendono a braccetto, ogni pezzo esplode di colori senza perdere in incisività, culminando a fine facciata nella contagiosa “Tsugaru Turu” e in una strepitosa “Funamachi-Uta Part 2" che proietta un tema folk su un tappeto di congas e piano che la fa rotolare dentro una ritualità pagana e psichedelica assolutamente irresistibile.

Anche la seconda facciata, questa volta con l’apporto di musicisti giapponesi (in una traccia c’è anche Haromi Hosuono), è di scintillante qualità: i colori sono nitidi e entrano in gioco strumenti e gesti sonori tradizionali (fantastica “Hekoriputaa”), spesso sorretti da maliziosi archi, come in una sorta di musical immaginario su cui la Yano non si fa pregare a svelare le sue doti interpretative.  Il crescendo trova sapori da bubble-gum raffinata con “Oka Wo Koete” prima di chiudere con la prima parte di “Funamachi-Uta", che riporta tutto a casa e chiude il cerchio della ritualità che era stata aperta pochi minuti prima.

Disco che disvela la sua forza dopo qualche ascolto, quando dalla bruma dell’effetto novelty emerge inesorabile l’onda d’urto della sostanza, Japanese Girl sfugge dall’angusta (per quanto fascinosa) stanzetta della chicca per conoisseur e torna, un po’ sfacciato e teatrale, a raccontarci dopo tanti anni, la sua sensuale bellezza.

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