Alla scoperta della canzone arumena
Il repertorio vocale e strumentale della regione di Drenova, in Albania, in una raccolta per Squilibri
“Se non vivi attraverso le canzoni, allora per cosa vale la pena vivere?”, si domanda il cantore Spiro Gramozi nella citazione messa ad esergo del libretto di questo notevole, per molti versi sorprendente cd appena pubblicato da Squilibri, Aromanian Songs from Drenova.
Intanto l’indicazione “Canzoni da Drenova”, nella sua apparente neutralità descrittiva nasconde un passato stipato di amarezze e lutti: perché Drenova è la località della Korça – in Albania – dove, a partire dagli anni Sessanta, il regime dittatoriale di Enver Hoxha costrinse a una sedentarietà forzata gli arumeni. Gente che fino a quel momento aveva condotto vita nomade di pastori, praticando la transumanza delle loro greggi tra le alture di Korça in estate, e in inverno verso le regioni più temperate di Konispol, la parte più meridionale del Paese, dal clima assai temperato.
Il regime non riconosceva la peculiarità culturale degli arumeni, e un po' come succede ancora oggi ai kurdi in Turchia, costretti a usare sempre il turco: i cantori tradizionali dovevano adottare la lingua albanese per intonare i brani del loro repertorio, essendo proibita anche una sola parola in arumeno. Questa lingua, di ceppo neolatino, e della famiglia linguistica del rumeno, è oggi ancora parlata da circa 250mila persone nei Balcani meridionali, una sorta di “regione culturale” che sfida le frontiere anche dell'oggi tra Albania, Grecia, Serbia, Bulgaria.
L’arumeno è scritto con un alfabeto proprio, con segni di base latini e moltissimi caratteri diacritici specifici (un alfabeto non riconosciuto in Grecia, per via delle ben note polemiche nazionaliste con la Macedonia). Il canto arumeno fa parte, comunque, della ben più vasta tradizione polifonica dei canti a parti diverse con presenza di note di bordone che ben conosciamo dalle numerose testimonianze concertistiche e discografiche albanesi, patrimonio immateriale dell'Umanità UNESCO – anche se è il caso di rammentare che le terre antiche dove si spostavano gli arumeni erano un crocevia multiculturale impressionante, e a far data, almeno, dai tempi bizantini e ottomani.
Oggi restano ben pochi depositari di questa forma musicale antica a più parti vocali: i giovani non hanno voluto preservare questa tradizione, che appare assai impegnativa e come conservata in una capsula del tempo che ha varcato pure l’oceano, nelle migrazioni verso le Americhe (e qui ne resta traccia in "Americă laiă", "America dannata"): una voce principale che propone la linea melodica, perlopiù ancorata alla scala pentatonica, una seconda voce che interviene su un intervallo di terza, come in tanta musica di tradizione orale, un’altra ancora, la cosiddetta “iso”, che tiene la nota di bordone, qui rafforzata dalla presenza di ulteriori cantori.
Non solo voci, comunque, in questa splendida raccolta: "Djocul al cavedano Ilia" ("La danza del capitano Ilia") è uno strumentale affascinante, con la parte più libera riservata al clarinetto, dalla pronuncia assai nasalizzata, com’è tipico della regione, e gli interventi di violino, liuto e tamburo a cornice.