Mauro Palmas, la mandola come regista

Palma de Sols (Squilibri) è il nuovo disco di Mauro Palmas, una splendida epica mediterranea e sarda

Mauro Palmas - Palma de Sols
Mauro Palmas
Disco
world
Mauro Palmas
Palma de Sols
Squilibri
2019

Come altri musicisti di quella seconda generazione del folk revival italiano, quella maturata negli anni settanta a contatto con il progressive rock, Mauro Palmas ha orientato la sua ricerca musicale nei decenni successivi nella direzione di un ampliamento delle possibilità espressive del suo strumento “folk” prediletto – la mandola. E, come altri musicisti di quella generazione, Palmas del suo strumento è stato innovatore senza esserne virtuoso nel senso più appariscente e fiammeggiante del termine, ma sviluppando un proprio idioletto, soprattutto a livello di composizione.

Da questo punto di vista Palma de Sols, che esce per la romana Squilibri, sempre più nome di riferimento per le nuove musiche “di tradizione”, è veramente la summa di un percorso artistico. Un piccolo capolavoro che giunge a un anno di distanza da un altro disco in qualche modo “definitivo” in cui Mauro Palmas era implicato direttamente: Làntias di Elena Ledda (disco del 2018 per noi del gdm, e per molti altri critici musicali). 

C’è, in Palma de Sols, l’immaginario “mediterraneo”, da cui è sempre difficile staccarsi, ma che è qui declinato in direzione di una sorta di epica senza tempo. Ci si accorge della cosa negli unici due brani con testo, entrambi con la bella voce di Simonetta Soro: nella title track, recitata, che chiude il disco con la ricapitolazione del concept che lo informa, un affascinante mito fondativo della Sardegna (trasfigurata nella “Palma de Sols” del titolo) raccontato attraverso la musica e il ballo; e in “Gozos San Antìogo”, ispirato alla tradizione dei gozos, canti devozionali rivolti a un santo o alla Madonna, che profuma di musica antica grazie al ruolo da protagonista del cornetto (suonato da David Brutti) e dell’organo (in carico ad Alessandro Foresti). 

E se i plettri di Mauro Palmas – mandola e liuto cantabile – si inscrivono ovviamente in una tradizione “mediterranea”, gli esiti sono distanti anni luce da quei cliché etnici, da quelle stolide scale arabe, da quegli arpeggi struggenti da wannabe Mauro Pagani che infestano molte produzioni “world” ancora oggi. Palmas suona la mandola “alla Mauro Palmas”, e vanta – curiosamente – pochi tentativi di imitazione. Ma il suo stile si riconosce alle prime due battute.

Il paradosso di Palma de Sols, alla luce di tutto questo, è che la mandola è solo uno strumento fra i tanti negli arrangiamenti, e talvolta sembra anche scegliersi un ruolo di secondo piano. Come nella maestosa “Est”, dove prende una parte di ostinato lasciando la ribalta alla cornamusa di Fabio Rinaudo, al sax, al clarinetto, su un loop di accordi lento e luminoso che ricorda alcune cose di Brian Eno o della Penguin Cafè Orchestra. Sono questi strumenti citati soprattutto – l’organo, i fiati, la cornamusa, qualche ritocco elettronico (affidato all’ottimo Arrogalla) – a cui vanno aggiunti gli archi dell’Archæa String, la chitarra di Marcello Peghin, le percussioni di Andrea Ruggeri e il basso di Silvano Lobina, a definire il paesaggio sonoro di Palma de Sols

La mandola ha piuttosto il ruolo del regista, in tutto questo fiorire di incastri melodici e ritmici. Anche a fare caso alle armonie nei pezzi più “scritti” è evidente che le singole parti sono pensate su quello strumento, con ciascuna coppia di corde a prendersi in carico una voce. Basta ascoltare, ad esempio, “Luna piena”, per solo quartetto d’archi –  un quartetto d’archi che non suona affatto come un quartetto d’archi “normale”, per come si muovono le parti.

È da questi piccoli aspetti spiazzanti, sciolti dentro armonie distese e sognanti, temi cantabili e atmosfere quasi cinematografiche, che sta la grandezza di Palma de Sols. Un disco ponderato, costruito con artigianato e cura, meditato – e bellissimo.

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