«Una persona che amava la musica sopra ogni altra cosa – così Michele Dall’Ongaro ricorda Bruno Cagli, suo predecessore alla Presidenza dell’Accademia di Santa Cecilia nonché attuale Presidente Onorario, scomparso lo scorso 29 novembre – e in nome di questo amore ha sempre difeso quello che faceva e chi lo faceva con lui, anche con grande energia».
Nato a Narni nel 1937, Cagli è stato attivo sulla scena del nostro paese come musicologo e critico, docente alle Università di Urbino e di Napoli, nonché autore di testi e sceneggiature radiofoniche. Tra tutti merita citare il melodramma radiofonico Una vendetta in musica, del quale scrisse testo e musica e che nel 1981 gli valse il Prix Italia. Ma due sono in particolare gli ambiti nei quali ha potuto mettere a frutto la sua esperienza professionale e la sua inesauribile capacità di promuovere eventi culturali. Innanzitutto quello riguardante gli studi rossiniani, al cui sviluppo diede un fondamentale contributo, collaborando insieme a Philip Gossett e Alberto Zedda. Il frutto di questo lavoro fu la nuova edizione critica delle opere di un autore che, ancora alla fine degli anni ’60 fondamentalmente era conosciuto per il celebre Barbiere, ma l’impronta di Cagli caratterizzò anche tutta l’attività della Fondazione Rossini di Pesaro, che guidò dal 1971 fino al 2010. Questa passione per il musicista pesarese, lo portò anche a collaborare come sceneggiatore e autore nel film Rossini, Rossini di Mario Monicelli (1991), ennesima testimonianza di una instancabile attività per la riscoperta dell’autore del Guillaume Tell.
L’altro fronte, quello della direzione artistica, lo vide impegnato, dal 1978 in poi, via via alla guida delle più importanti istituzioni capitoline, a cominciare dall’Accademia Filarmonica Romana (dal 1978 al 1981 e dal 1986 al 1988), seguita poi dal Teatro dell’Opera (dal 1987 al 1990) e infine dall’Accademia di Santa Cecilia. Divenuto accademico nel 1981, Cagli ricoprì il ruolo di Presidente (che riunisce anche le funzioni di sovrintendente e direttore artistico) dal 1990 al 1999 e dal 2003 al 2015. Un ampio ventennio – il limite di due mandati quinquennali è stato introdotto solo di recente da Dall’Ongaro – interrotto solo dal periodo in cui Luciano Berio fu prima chiamato a gestire il commissariamento dell’Accademia e successivamente eletto presidente, carica che ricopri fino alla sua scomparsa nel 2003.
A Michele Dall’Ongaro abbiamo chiesto di ricordare quali sono state le scegli di Cagli più significative e degne di memoria, compiute alla guida di Santa Cecilia
«Sicuramente l’intenzione di cominciare a dedicarsi ai bambini, con i Family Concert, che egli volle e inaugurò al Teatro Valle. Cagli fu tra i primi, senz’altro il primo a Roma, a capire che bisognava iniziare a guardarsi intorno verso un pubblico diverso. Poi quell’iniziativa fu sviluppata, in diverse maniere, ma la sua fu una intuizione di particolare modernità, da parte di un figura da cui magari ci si aspettava altro. A cascata sono arrivate tutte le altre proposte indirizzate ai giovani, la JuniOrchestra è stata introdotta da Berio, però i primi spettacoli per i bambini sono addirittura di venti anni fa, poi i cori e man mano tutto il resto. La scelta di rivolgere lo sguardo in quella direzione è stata sua, tuttora stiamo andando avanti, ora abbiamo dodici cori, cinque orchestre, in più abbiamo aperto il coro di dilettanti da due anni e quest’anno anche una specifica OrchExtra. I semi però, lo ribadisco, li ha gettati Bruno Cagli. Poi senz’altro tra i suoi meriti vorrei ricordare l’attività intensa legata all’opera in forma semiscenica, una prassi poi abbandonata a causa dei costi, ma da quel punto di vista ci furono delle esperienze molto significative, legate per esempio al nome di Daniele Gatti. Penso a una Lulu di Berg in forma semiscenica risalente a parecchi anni fa, per esempio. Questa abitudine di fare le opere in questo modo e soprattutto con una certa frequenza – consideriamo che è stato eseguito quasi tutto Wagner – ha rappresentato una esperienza fondamentale per l’orchestra. Per una formazione sinfonica fare teatro, dove occorre seguire la parola, avere un tipo di reattività legata al rapporto col testo, rappresenta un tipo di pratica che l’esecuzione di musica strumentale non offre, dunque se manca quell’esperienza manca un pezzo dell’esperienza professionale, molto importante dunque anche per la nostra orchestra. Infine menzionerei il suo eccellente intuito verso i giovani interpreti. Sua la scoperta di molti nuovi cantanti ma soprattutto pensiamo alla sua scelta di Daniele Gatti e di Myung-Whun Chung, laddove poi Pappano invece è arrivato sotto la gestione di Berio».
A differenza di Berio, appartenente al modo della composizione (come anche Dall’Ongaro oggi), Cagli era un esponente della musicologia. Quanto ha influito questo elemento – a parte ciò che è già stato detto sul repertorio operistico – nelle scelte della programmazione concertistica?
«Questo aspetto aprirebbe un discorso estremamente complesso: quando c’è un auditorium da riempire con migliaia di persone, gli spazi per la creatività sono evidentemente limitati, chiunque sia al posto di comando. Tuttavia possiamo ricordare alcuni titoli come il Peter Grimes di Britten o Il Libro dei Sette Sigilli di Franz Schmidt, ebbe insomma la soddisfazione di tirare fuori dal cappello alcune partiture che gli stavano a cuore».
Resta nel ricordo di tutti gli operatori la sua attenzione alla qualità, Cagli ha detto tante volte che – alla luce del sostegno degli sponsor, per esempio – Santa Cecilia non poteva rispondere alla crisi generale abbassando il livello qualitativo, bensì aveva anche un obbligo morale di continuare a puntare sui massimi livelli.
«Sicuramente la sua composta signorilità ha sempre pervaso l’intera Accademia, ma due elementi in particolare credo vadano sottolineati, all’interno della sua gestione: innanzitutto il grande sviluppo dato all’attività internazionale delle compagini (Orchestra e Coro) dell’Accademia, poi – last but not least – l’aver ottenuto l’autonomia finanziaria, al pari del Teatro alla Scala, un traguardo di fondamentale importanza per la gestione, che ci mette nelle condizioni di puntare ai livelli di eccellenza che la nostra lunga storia impone».