Francesca Caccini, il canto barocco al femminile
Un concerto dell'ensemble L'Homme Armé rievoca la compositrice fiorentina nota come "la Cecchina"
Un delizioso concerto dell’ensemble L’Homme Armé al Cenacolo di Andrea del Sarto a Firenze ha richiamato sabato l’attenzione su una delle prime donne autrici di musica oltre che esecutrici: Francesca Caccini (1587 – 1641), figlia del grande Giulio Caccini, che oltre a condividere con Jacopo Peri il merito dell’invenzione del melodramma (con la sua intonazione dell’Euridice, alternativa e concorrenziale a quella di Peri), è il primo autore a codificare lo spirito e la tecnica del nuovo canto solistico grazie alle Nuove Musiche, “madrigali e canzonette” edite nel 1602, e in particolare all’importante prefazione che spiega le modalità esecutive di trillo, groppo, esclamazione e altri tratti tecnici ed espressivi propri di esso. E fu subito chiaro agli osservatori dell’epoca che se Peri propendeva ad un recitar cantando sobrio ed espressivo, Caccini, come si disse, aveva maggior leggiadria, e le sue canzonette, fra cui la celeberrima Belle rose porporine (proposta infatti sabato come fuori programma), hanno appunto la grazia spiritosa atta ad interpretare meravigliosamente le spiritose strofette di poeti come Gabriello Chiabrera, e altri che avevano collaborato con i musicisti nella fase di incubazione e poi vera e propria nascita del cantare a voce sola. Francesca, nota come “La Cecchina”, seguì il padre e tutto il “concerto Caccini” (lui con moglie, figli e figlie) a Parigi alla corte di Maria de’ Medici, e poi, di ritorno a Firenze, prestò servizio alla corte dei Medici dal 1608 al 1627, come esecutrice (cantante a suonatrice di clavicembalo, liuto, chitarra) e compositrice in occasione di spettacoli di corte, balletti, feste teatrali e così via (fra cui il suo lavoro teatrale più famoso, La liberazione di Ruggero dall’isola di Alcina, 1625), ma anche di intrattenimenti cameristici. Il Primo Libro delle Musiche (1618) comprende infatti un bel numero di arie-canzonette da camera, di tipo strofico, amorose e anche “spirituali” ossia a soggetto religioso, come O che nuovo stupor che racconta dei pastori in visita a Gesù bambino, un pezzo che potrebbe essere preso a paradigma della cattolica congiunzione, tipica dell’epoca in Italia, fra devozione e un piacere musicale aggiornato alle ultime mode. Per non dire degli immancabili lamenti (Lasciatemi qui solo) che seguono i topoi più tipici della retorica musicale del lamento fissata da Monteverdi & C. Ma è soprattutto nella leggiadria che la Cecchina segue le orme paterne e va oltre, in brani come Ch’Amor sia nudo, Non so se quel sorriso, Chi desia di saper che cosa è amore, in un’elegante espressione di tormentosi e amabilissimi crucci amorosi, in cui mette una grazia nervosa che fa musicalmente il paio con tante situazioni della lirica erotica marinista, in una profusione di virtuosismi vocali delicati e puntuti, su un percorso armonico fondato sui noti bassi dell’epoca, come il basso di ciaccona, Il Granduca, Il Ruggero e simili. Proprio questo aspetto veniva egregiamente evidenziato in questo concerto, grazie alla perizia e all’arguzia espressiva di Elena Cecchi Fedi, soprano, e non meno da Luigi Cozzolino, violino, nelle sue fantasiose invenzioni sui bassi di cui si diceva, per intercalare il programma vocale o intervenire fra strofa e strofa delle arie. Erano affiancati dall’ottimo basso continuo di Alfonso Fedi, clavicembalo, Francesco Tomei, viola da gamba, Gian Luca Lastraioli, chitarra, tiorba e direzione. Successo ottimo.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.