Sono tante le iniziative volte a ricordare Ia figura di Giovanni Pierluigi da Palestrina che la Fondazione a lui dedicata ha programmato per la seconda edizione del Festival Il Palestrina attraverso i secoli, valorizzando il territorio prenestino – particolarmente ricco sotto il profilo archeologico e artistico – e quello di alcuni comuni limitrofi, a parte l’appuntamento di chiusura che si svolgerà a Roma.
Numerose le attività – quasi sempre di sabato, fino alla metà del mese di dicembre – con cui si è voluto dare un taglio diverso all’edizione di quest’anno, «pur restando – come ha sottolineato il presidente della Fondazione Marco Angelini – nel solco tracciato nel corso di 45 anni di attività nel campo della cultura musicale italiana». Un particolare rilievo verrà dato alla tradizione dei cori e delle bande, molto ricca anche nel territorio di Palestrina, mentre si è da poco conclusa un’altra iniziativa collegata al festival di quest’anno, una masterclass di direzione corale tenuta da Peter Phillips, fondatore nel 1973 dei Tallis Scholars, gruppo tra i più rinomati sulla scena internazionale per l’interpretazione della polifonia rinascimentale.
La masterclass, tre giorni dal 25 al 27 ottobre, è stata particolarmente interessante, vista la presenza di quattro cantori inglesi (venuti a Palestrina insieme a Phillips) e dunque la possibilità offerta agli studenti – tra cui non pochi direttori di coro – di provare con loro l’esecuzione di pagine di Giovanni Pierluigi.
Proprio al termine di una delle lezioni abbiamo avuto modo di rivolgere alcune domande allo stesso Phillips.
Che cosa si prova a essere qui a Palestrina e ora proprio nella casa di Giovanni Pierluigi?
«È fantastico, noi stiamo conversando proprio sotto il suo ritratto. Sono stato già altre quattro volte, se non sbaglio, a Palestrina per tenere concerti, ma questa è la prima volta come docente».
Come vede oggi l’interpretazione di questo tipo di repertorio, ripensando a quando ha fondato i Tallis Scholars, nel 1973, e allo sviluppo che c’è stato successivamente?
«Non credo ci sia stato un grande cambiamento da allora, questo per quanto riguarda l’interpretazione che diamo noi inglesi, io naturalmente ne apprezzo anche altre, come per esempio quella più lenta che oggi ha realizzato uno dei partecipanti italiani al corso. Una visione in un certo senso "romantica", ma l’ho trovata affascinante. I cantanti che sono venuti con me qui in Italia sono come dei veri e propri strumenti, hanno una tale esperienza che diventano capaci di seguire qualsiasi direttore, sono molto abituati, prevalentemente hanno a che fare con il modo inglese di interpretare questa musica ma quando un italiano propone una visione più "romantica" lo assecondano senza difficoltà, loro sono interessati e io stesso trovo estremamente interessante quello che avviene da un punto di vista musicale».
Cosa pensa proprio riguardo l’equilibro tra il testo sacro e la musica, nel modo insomma di percepire questo repertorio (anche da parte del pubblico) in diversi modi a seconda che ci si trovi in Italia, in Francia, in Inghilterra, ecc. ?
«La tradizione interpretativa è sicuramente giunta a noi in modi diversi dal XVI secolo, ovvero dallo spirito del Rinascimento. Dunque c’è stata una diversificazione, per esempio, tra Inghilterra, Francia e Italia. È possibile persino che la tradizione fosse diversa anche prima del Rinascimento, le opportunità non sono sempre state le stesse nei vari centri musicali. In ogni caso per me resta sempre molto interessante ascoltare come lo stesso repertorio sia eseguito in modi diversi a seconda dei luoghi. Le note sono sempre quelle, ma cambia lo spirito interpretativo».
Come possiamo oggi ritornare a una vocalità adatta a quel periodo, per esempio di Giovanni Pierluigi, visto che noi viviamo nel secondo millennio?
«Credo sia impossibile, non sappiamo esattamente come fosse, possiamo forse immaginarlo dalle fonti scritte che ci parlano della vocalità di quel periodo e, soprattutto, dalla stessa musica. Si tratta infatti di una musica nella quale non si può e non si deve cercare alcuna esagerazione, non farebbe bene alla stessa musica, questa è la mia opinione».
Per gli inglesi, non avendo alle spalle una tradizione operistica così presente come la ritroviamo in Italia, è più semplice tornare allo spirito del repertorio antico?
«Sì, è vero. L’opera da noi è iniziata più tardi e la sua influenza è stata senz’altro di minor rilievo. In Inghilterra viceversa abbiamo una tradizione decisamente più presente, quella legata ai cori delle cattedrali. Mi sento di dire che non abbiamo mai perso quel tipo di tradizione vocale, è proseguita senza soluzione di continuità fin dal Rinascimento, probabilmente anche da prima. Diciamo che una frattura è stata portata dalla Riforma, che pure noi abbiamo vissuto, ma molto rapidamente dopo la Riforma l’antico stile è ritornato in auge».
Trova che la musica contemporanea si avvicini a quella più antica, per quanto riguarda il repertorio corale? Come se si fosse saltato a piè pari il Romanticismo.
«Sì, credo che diversi compositori contemporanei "funzionino" molto bene insieme alla musica rinascimentale, specie se hanno un retroterra religioso che crea una sorta di fil rouge. Generalmente, propongo programmi fondamentalmente dedicati alla musica rinascimentale ma inserisco anche brani contemporanei, che non interrompano l’atmosfera della prima, certo devo scegliere con molta attenzione. Un musicista che da questo punto di vista trovo eccezionale è Arvo Pärt».
Quale è oggi la situazione della tradizione corale in Inghilterra?
«Direi che gode di buona salute, i cori delle cattedrali esistono tuttora, ce ne sono ben trentacinque e svolgono il loro servizio musicale quasi tutti i giorni. Il livello è alto, dunque posso dire che questa tradizione continua, anche i cantanti che fanno parte del mio gruppo sono passati per quel tipo di esperienza. E da circa dieci, vent’anni al massimo, questo è possibile anche per le donne, possiamo dunque avere ragazze nei cori delle cattedrali, non solo soprani ma anche contralti. Trovo sia positivo, sicuramente comporterà nuovi sviluppi interpretativi nel futuro».