Rosalía: il flamenco del XXI secolo

El Mar Querer, secondo album della giovane artista catalana Rosalía, destinata al rango di diva planetaria dopo il video di "Malamente"

Rosalia El Mar Querer Malamente
Disco
world
Rosalía
El Mal Querer
Sony
2018

In patria Rosalía, alias Rosalía Vila Tobella, è già una stella: non a caso Pedro Almodóvar l’ha scritturata per il suo prossimo film, Dolor y Gloria. Ma si accinge a diventare tale su scala planetaria: lo attesta il totalizzatore del video di “Malamente”, a un passo da quota 30 milioni (due terzi della popolazione spagnola, per dire).

Il brano, che apre il secondo lavoro di Rosalía, indirizza il discorso: battiti di mani e gorgheggi alludono ai modi del flamenco, quando l’habitat sonoro è situato invece a metà strada fra R&B e reggaeton. Tradizione e contemporaneità: una convivenza – si sa – controversa, tant’è vero che i sedicenti custodi del linguaggio primigenio – patrimonio culturale tutelato dall’Unesco – accusano l’artista catalana di appropriazione indebita.

Qualcosa di simile era accaduto in merito al tango argentino con i Gotan Project. Qui stiamo tuttavia da un’altra parte: in quella circostanza si trattava di una sorta di maquillage postmoderno del canone in oggetto, mentre in questo si percepisce il tentativo di posizionare nell’attualità il codice originario, preservandolo dalla “museificazione”. Non così distante da quanto fatto lo scorso anno con lo joropo dal nativo venezuelano Arca (con il quale, a proposito, Rosalía ha in programma un’imminente collaborazione). L’evidenza dell’analogia è palese nell’impressionante “De Aquì No Sales”, dove i vocalizzi tipici del cante sono filtrati in Auto-Tune e contornati da un arredo a base d’inquietante rumorismo urbano. Altrove prevale un approccio maggiormente pop, senza che mai ciò comporti cadute di tono: lo dimostrano “Pienso en Tu Mirà”, con melodia irresistibile su languido groove hip hop, e l’incalzante “Di Mi Nombre”.

Di tutti, l’episodio più avvincente è però “Bagdad”: melò futurista costruito intorno a un campionamento da “Cry Me a River” di Justin Timberlake. Citazione di natura diversa nello struggente astrattismo di “Maldiciòn”: la fonte è addirittura Arthur Russell (immaginiamo sia farina del sacco del produttore Pablo Díaz-Reixa, alias El Guincho, musicista apprezzato persino da Björk). In definitiva è comunque l’album nell’insieme a conquistare l’ascoltatore.

Lo si deve anche al tessuto narrativo da cui è sorretto: diviso in 11 capitoli, come fosse un libro, ricalca la sviluppo della novella occitana del XIII secolo Roman de Flamenca e descrive “il cattivo amore” del titolo in una successione scandita da “matrimonio”, “gelosia”, “lamento”, “clausura”, “estasi” e “saggezza”. Opera ambiziosa, insomma, e al tempo stesso straordinariamente efficace.

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