Kurt Vile, genio in bottiglia
Bottle It In è il nuovo album dello statunitense Kurt Vile, cantautore sui generis
Un rockettaro vecchia maniera, Kurt Vile, con quell’aria da freak fuori tempo massimo e il nomadismo nel sangue: riparte per concerti – da Amburgo, il 12 ottobre – nel giorno in cui esce questo disco, realizzato strada facendo – in vari studi di registrazione, con produttori differenti – durante le pause della tournée seguita al precedente B’lieve I'm Goin' Down...
Tipicamente americano, insomma, e tuttavia niente affatto retorico o prevedibile. Il trentottenne di Filadelfia, già fondatore dei War On Drugs, dai quali però si allontanò quasi subito, è un cantautore sui generis, qui più ancora di quanto sia stato in passato. Dei 13 brani inclusi in Bottle It In, tre oscillano intorno ai dieci minuti, frutto – immaginiamo – di jam session a “stile libero”, cosicché persino le parole sembra scorrano come flusso di coscienza. Esemplare “Bassackwards”, con ritmo pigro, chitarra in reverse ed effetto ipnotico.
Su lunghezze d’onda analoghe è sintonizzata pure la ballata che dà titolo all’album, impreziosita negli arrangiamenti da arpa e oboe, mentre la quiete apparente di “Skinny Mini” viene infranta da brutali eruzioni di feedback elettrico. Altrove la forma è maggiormente sobria e tradizionale: nel divertissement country a suon di banjo “Come Again” e in “Loading Zone”, che apre la sequenza su un registro folk rock di scuola Tom Petty.
L’indolenza che da sempre lo caratterizza – nella cadenza della voce nasale, da Dylan narcotizzato, e nella costruzione musicale all’apparenza trasandata – riaffiora nella crepuscolare “Cold Was the Wind” e in “Mutinies”, dove all’epilogo fa capolino la “sonica” Kim Gordon e il protagonista rimpiange la vita “con un telefono normale”, dopo che in “Hysteria” aveva confessato la propria paura di volare (“Fermate quest’aereo, perché voglio scendere!”) e nell’eloquente “One Trick Ponies” si era prodigato in un’apologia di chi sa fare una cosa sola.
Al settimo lavoro da solista, cui andrebbe aggiunto Lotta Sea Lice, disco firmato lo scorso anno a quattro mani con Courtney Barnett, Kurt Vile riafferma le qualità oblique del suo talento: non siamo ai livelli raggiunti in Smoke Ring for My Halo (2011) o Wakin on a Pretty Daze (2013), ma comunque ben oltre la media di ciò che ascoltiamo correntemente.