L’Offenbach serio in scena a Tours
Al Grand-Théâtre per la prima volta in scena Les fées du Rhin, opera romantica del compositore
In anticipo di qualche mese sui festeggiamenti per il bicentenario, il Grand-Théâtre di Tours apre la sua stagione con un titolo di indubbio interesse dal ricco catalogo di Jacques Offenbach, Les fées du Rhin (Le fate del Reno), con l’imprescindibile partenariato del Palazzetto Bru-Zane, che negli stessi giorni lancia il suo festival veneziano consacrato al compositore. Dopo la ricostruzione del musicologo Jean-Christoph Keck e la successiva riesumazione della partitura in forma concertante al Festival di Montpellier nel 2002, con enfasi molto francese l’opera viene ora presentata come doppia prima assoluta: si tratta infatti della prima versione in forma scenica ancora mai vista in Francia dalla prima assoluta a Vienna nel 1864, e della prima volta nell’originale francese giacché a Vienna si ascoltò nei versi tedeschi di Alfred von Wolzogen.
Agli antipodi della leggerezza tutta parigina delle sue operette, con quest’opera “romantica” dai colori molto cupi Offenbach guardò piuttosto alle brume di oltre-Reno e alle sue foreste popolate di fate e elfi per la sua storia che combina il fantastico del Weber del Freischütz con più di un pizzico dell’Hoffmann che verrà (la protagonista Laura è affetta dalla stessa malattia dell’Antonia del Violino di Cremona finita poi nei Contes) ma anche la violenza nero-pece del Verdi del Trovatore. Certamente pesarono sul suo abbandono le prolissità dei quattro lunghi atti a dispetto di un’ispirazione musicale molto felice, che servì in forma di spezzatino soprattutto per altri due, ben più fortunati lavori: il Fantasio e i Contes d’Hoffmann, la cui celebre barcarola dell’atto di Giulietta si ascolta ripetutamente nelle Féescome leitmotif degli elfi.
Dalle foreste della Germania del XVI secolo lacerata dalle guerre fra signori locali, Pierre-Emmanuel Rousseau, regista, scenografo e costumista della produzione di Tours, traspone l’azione nelle foreste della Bosnia durante la guerra civile dei Balcani senza danni significativi all’impianto narrativo e aggiungendo un tocco folclorico che richiama l’estetica dei vecchi teatri del blocco socialista. Sull’azione calca un po’ la mano, in particolare sulle violenze della soldataglia, un po’ di maniera, ma perde mordente quando si perde nelle foreste abitate dalle fate, mostra un certo disinteresse nella catena di agnizioni che scioglie l’intrigo e conclude con un ghigno macabro in un sanguinoso finale che contraddice l’happy end originale. Abbastanza per scatenare una salva di buh all’indirizzo del regista da parte del pubblico, che invece premia senza distinzioni gli artefici musicali: l’appassionata protagonista Laura di Serenad Burcu Uyar, la spiritata Hedwig di Marie Gautrot, il trucibaldo Frantz di Sébastien Droy, il focoso Conrad di Jean-Luc Ballestra, l’audace Gottfried di Guilhem Worms e il dinamico coro dell’Opéra di Tours. Non meno apprezzate la vigorosa e sbrigativa direzione di Benjamin Pionnier, non particolarmente attenta alle sfumature, e l’Orchestre Symphonique Région Centre-Val de Loire/Tours dalle buone qualità musicali.
Dopo Tours, in dicembre si trasloca al Teatro-Orchestra di Biel-Solothurn, che coproduce lo spettacolo.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Saltata la prima per tensioni sindacali, il Teatro La Fenice inaugura la stagione con un grande Myung-Whun Chung sul podio per l’opera verdiana
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.