Il Berlioz grandioso e popolare

Il Festival Berlioz a La Côte-Saint-André si chiude con i concerti di Gardiner, Rustioni e Roth con l’inedito Le Temple Universel

Festival Berlioz - Antoine Tamestit e John Eliot Gardiner (foto di Bruno Moussier)
Antoine Tamestit e John Eliot Gardiner (foto di Bruno Moussier)
Recensione
classica
La Côte Saint André
Festival Berlioz
30 Agosto 2018 - 01 Settembre 2018

La Côte-Saint-André è un tranquillo paese di 5000 abitanti, fuori dalle rotte turistiche, specie d’estate quando la neve non imbianca le colline della zona e non attira amatori di sport invernali dal nord Europa. Non c’è davvero molto da vedere e per di più Grenoble e soprattutto Lione a poca distanza attirano l’interesse dei visitatori.

All’inizio fu Lione a sfruttare il marchio Berlioz per iniziativa del direttore Serge Baudo, ma da un quarto di secolo se lo sono ripreso a La Côte, il loro concittadino più illustre, e ci hanno costruito un festival che riesce ad attirare un pubblico non soltanto regionale nelle due settimane che precedono la ripresa di settembre. Se la maggior parte dei servizi è gestita con sorprendente efficienza da un piccolo esercito di volontari che danno uno speciale sapore popolare alla rassegna, non meno popolare è la poliedrica programmazione messa a punto per la decima volta dal direttore artistico Bruno Mantovani in sintonia con la personalità debordante e inquieta di Hector Berlioz. Si spazia dai divertimenti colti dei concertini sotto il balcone di Hector nel cortile del Museo nella casa natale del compositore, alla musica da camera nella romanica chiesa di Saint-André e alle grandi orchestre nel concerto serale nel cortile del Castello di Luigi XI. Per tacere del dopo-concerto generoso di valse musette e operette popolari.

E – non quest’anno – si scherzava pure sul pensoso cipiglio di Hector nella piccola mostra dedicata alle Immagini di un iconoclasta che nel sottosuolo del Museo presenta fotografie, disegni e molte caricature dell’eroe locale (irresistibili quelle con un Berlioz megalomane che dirige un concerto europeo con un palo della luce e un’orchestra planetaria con una bacchetta elettrica).

FEstival Berlioz

Festival Berlioz

L’edizione 2018 aveva un motto dal sapore vagamente irriverente di Sacré Berlioz! e segnava il primo atto delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario della morte del compositore, che cade nel marzo del 2019 e quindi a metà fra le due edizioni. Molta la musica sacra nel cartellone, ma non mancava un omaggio all’anticlericalismo nelle performance sotto il balcone del giovane Hector di Arnaud Marzorati in compagnia dei suoi Lunaisiens: in un piccolo ciclo che parte dalla creazione del mondo, passa per Antico e Nuovo Testamento, visita diavoli e santi, e approda in un Vaticano popolato di papi, gesuiti e curati, Marzorati con divertente e divertito gusto affabulatorio presenta le urticanti canzoni popolaresche e sfrontate di Béranger e dei suoi colleghi che raccontano di preti lascivi e gaudenti e scherzano persino sul papa sposato e tradito dalla moglie quando non osano l’inosabile fantasticando di un papa che si fa musulmano …

Per chi pensa che ormai di Berlioz si conosca tutto, il terz’ultimo dei concerti serali riserva una sorpresa. Si tratta di Le Temple Universel, ambiziosa quanto sfortunata commissione del 1861 a un già anziano Hector Berlioz per doppio coro di due popoli (francese e inglese) e soprattutto un afflato internazionalista – o almeno europeista – di sorprendente slancio, forse più intonato alla giovinezza sansimoniana del compositore. Un verso fra tutti: “Embrassons-nous par-dessus les frontières, L’Europe un jour n’aura qu’un étendard” (Abbracciamoci al di sopra delle frontiere, L’Europa un giorno non avrà che una sola bandiera). L’idealismo berlioziano purtroppo dovette fare i conti con la realtà delle cose e quindi, pare, con la tradizionale litigiosità anglofrancese che impedì al progetto di andare compiutamente in porto. Restano comunque due versioni autentiche benché in scala ridotta: una per due cori a cappella e l’altra con l’accompagnamento dell’organo.

Forti del motto “si Berlioz en a rêvé, on le fait!” (se Berlioz l’ha sognato, noi lo facciamo), al Festival Berlioz si sono messi in testa di realizzare il progetto originario affidando al compositore Yves Chauris l’incarico di dare veste orchestrale alla partitura “à la manière de Berlioz” e dunque trionfalistica e tonitruante. Per il battesimo a La Côte-Saint-André hanno invitato un direttore famelico di novità storiche come François-Xavier Roth. In maniera pertinente, i 15 minuti scarsi della neopartitura berlioziana vengono eseguiti prima di un altro baluardo dell’europeismo in musica, la Nona di Ludwig van Beethoven, dall’orchestra Les Siècles, che suona con strumenti originali per aggiungere una patina di autenticità al suono (ma esiste un suono autentico?) Alla prova dei fatti, una qualche prova in più avrebbe giovato specie al coro Spirito, gravemente impreciso e francamente dilettantesco, ma anche a una più equilibrata esecuzione di questa solenne inaugurazione del Temple, che il tempo molto rapido scelto da Roth trasformava in una marcetta militare francamente ridicola. Non molto meglio andava alla sinfonia beethoveniana somministrata a una velocità esagerata, soprattutto il primo movimento (ma non andava molto meglio negli altri) che trasformava l’ispirata composizione in un puro esercizio tecnico somministrato per di più da un’orchestra dal suono troppo esile.

Un problema tipico delle orchestre con strumenti originali? Non si direbbe, a giudicare dallo straordinario saggio offerto dall’Orchestre Révolutionnaire et Romantique (verosimilmente storicamente più informata) diretta da John Eliot Gardiner. Ultimo di una tradizione di direttori britannici attratti dal genio berlioziano dal contemporaneo Charles Hallé giù fino a Thomas Beecham, Hamilton Hardy e ovviamente Colin Davis, Gardiner sembra attratto dal Berlioz più sperimentale e ardito nelle soluzioni strumentali e armoniche senza alcun timore di buttarsi nei suoi parossismi che fecero (e fanno) storcere il naso a più di un ascoltatore. Nel programma Légendes sacrées du Sud, che di leggendario e sacro aveva ben poco ma moltissimo della mitologia berlioziana, Gardiner offriva un saggio di quell’interesse scatenando la compagine di musicisti dalle note e straordinarie qualità musicali che brillavano già nella fulminante Ouverture da Le Corsaire, eseguita dall’orchestra in piedi. Seguiva la toccante La mort de Cléopatre densa di teatrale drammaticità anche grazie alla presenza dell’intensa Lucile Richardot, che vestiva quindi i panni di Didone per l’aria “Ah! Je vais mourir” da Les Troyens preceduta dalla famosa scena della Chasse royal et orage dal quarto atto del kolossal virgiliano di Berlioz, “dipinta” con colori quasi impressionisti dal maestro Gardiner. Seconda parte interamente consacrata all’Harold en Italie, proposto in una insolita versione teatralizzata per così dire, con il bravissimo solista alla viola Antoine Tamestit in movimento fra i ranghi dell’orchestra come a rappresentare il viaggio iniziatico dell’Harold berlioziano.

Festival Berlioz - Daniele Rustioni e l'Orchestre de Lyon (foto di Bruno Moussier)
Daniele Rustioni e l'Orchestre de Lyon (foto di Bruno Moussier)

Lungo coordinate più classiche si muoveva invece Daniele Rustioni alla testa della “sua” orchestra dell’Opéra de Lyon nell’ultimo dei concerti sinfonici del cartellone 2018. Intitolato Dies Irae, il programma si apriva con una scintillante esecuzione della celebre Danse macabre di Camille Saint-Saëns seguita dalla sulfurea Totentanz di Franz Liszt, autentico pezzo di bravura su un’implacabile sequenza di variazioni sul Dies irae eseguite en souplesse e autentico sfoggio di impeccabile tecnica pianistica da Roger Muraro in un dialogo serratissimo con le diverse sezioni orchestrali. Seconda parte interamente consacrata alla celebre Symphonie fantastique, che Rustioni, interprete di forte caratura teatrale, proponeva come una successione di quadri dai colori fortemente contrastati nell’esaltazione parossistica della timbrica e nei febbrili virtuosismi orchestrali.

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