Laus Polyphoniae è uno dei più interessanti festival di musica antica d’Europa. Non segue le mode e ha la giusta cadenza di concerti, né pochi, né troppi, e soprattutto mette ben in risalto i temi che di anno in anno approfondisce, sia che si tratti di monografie dedicate a un singolo compositore, sia a un’area geografica, sia a uno specifico luogo. Per fare qualche esempio basterebbe citare l’edizione dedicata al giovane Monteverdi del 2014, alla musica portoghese del 2011, alla Cappella Sistina del 2009, e così via. La sua comunicazione è sempre molto sobria e punta quasi esclusivamente sui contenuti, ed i cataloghi eleganti e di formato tascabile da diversi anni ricordano i libri di preghiera.
Il Festival è organizzato dal centro musicale Amuz, la cui sede è annessa alla Chiesa di Sant’Agostino che è la sua sala da concerto. Qui oltre a svolgersi una parte dei concerti della manifestazione, durante l’anno si realizzano anche quelli delle sue stagioni musicali. Quest’anno il Festival che si svolgerà dal 16 al 26 agosto è collegato alla prima parte della stagione musicale che va dal 30 settembre al 16 dicembre. Il suo direttore artistico Bart Demuyt ci racconta la particolarità di questa edizione.
«Questa edizione è molto importante per noi perché è il venticinquesimo anniversario del Festival. È iniziato con una edizione dedicata a Orlando di Lasso e poi di anno in anno ad altri compositori o temi. Quest’anno il titolo non è così evidente, ma in realtà con l’edizione speciale di quest’anno abbracceremo mille secoli di musica. Nel festival della seconda metà di agosto ci sarà soprattutto musica medievale e rinascimentale, e poi nella stagione che va da settembre a dicembre sarà solo musica barocca. Abbiamo discusso a lungo per decidere il titolo e alla fine abbiamo scelto una data che per noi ha un forte valore simbolico».
Che è 1618, before and beyond.
«La nostra sede principale è la chiesa barocca di Sant’Agostino che ha aperto le sue porte nel 1618, quattrocento anni fa. Il sottotitolo allude a ciò che precede questa data: prima vale a dire il Medioevo e il Rinascimento, e dopo ciò che segue, ossia il Barocco al quale sarà dedicata la stagione musicale da ottobre a dicembre. Per quanto riguarda il Festival ci saranno come sempre molti gruppi e artisti, come ad esempio Mala Punica, Dialogos, Huelgas Ensemble, Benjamin Bagby, e via di seguito, ma fra questi anche dei giovani ensemble, perché considero molto importante la loro presenza e il loro apporto, con idee differenti e talvolta formidabili, spesso divergenti da quelle consolidate delle eminenze grigie, e questo è molto importante. Basta pensare al primo concerto, quello di Scherzi Musicali, dedicato agli intermedi inseriti tra gli atti della commedia La Pellegrina. Ho dato carta bianca al direttore di questo giovane gruppo che ha studiato a fondo le fonti che riguardano queste interessanti musiche».
La città di Anversa quest’anno celebra l’epoca barocca nel nome di Rubens.
«Sarà una lunga festa con mostre e manifestazioni nei principali musei e luoghi della città. Il Barocco ad Anversa è molto importante, anche per la presenza di Rubens, e sia l’architettura che le arti visive e la musica ne rappresentano l’essenza. Ci sarà anche il contributo di artisti contemporanei, e per quanto riguarda la nostra sede, nella Chiesa di Sant’Agostino abbiamo fatto qualcosa di speciale. La chiesa conteneva tre pale d’altare, di Pieter Paul Rubens, Jacob Jordaens e Antoon Van Dyck, che con il passare del tempo sono stati sostituite con delle repliche, ma purtroppo piuttosto brutte, mentre gli originali si trovano nel Museo Reale di Belle Arti di Anversa. Per circa tre anni abbiamo discusso e tentato di ricollocare i dipinti nella chiesa, ma poiché oggi è una sala da concerto non sarebbe stato possibile garantire le condizioni climatiche idonee per la loro conservazione. Così cogliendo l’occasione delle iniziative di “Antwerp Baroque 2018. Rubens inspires” sono state commissionate a Jan Fabre tre opere, una per l’altare e due per le cappelle laterali, che ora sono già state collocate a Sant’Agostino».
Una reinterpretazione del barocco fatta da uno dei più importanti e poliedrici artisti del Belgio.
«Noi proponiamo musica antica in una chiesa barocca attraverso delle performance storicamente informate che sono destinate al pubblico di oggi, ed è interessante creare dei legami tra il passato e il presente. Spero che queste opere contribuiscano a creare una atmosfera nella quale si possa percepire questo rapporto, e credo che siano di ispirazione per gli ascoltatori».
La prima parte della stagione fino a dicembre sarà dunque una ideale continuazione del Festival.
«L’ultimo concerto del Festival sarà dedicato all’Orfeo di Monteverdi, che è la pietra miliare della storia dell’opera e può essere considerato la cerniera tra Rinascimento e Barocco. Verrà eseguito nel Bourla Theatre da I Fagiolini con una sobria mise en espace. Ci sono tantissime versioni realizzate da numerosi musicisti e in generale mi sembra che prevalga la tendenza ad abbondare: molte note, molte ornamentazioni, come se lo si osservasse con lo sguardo di ciò che è venuto dopo. Ma l’Orfeo è una proiezione della cultura rinascimentale che richiede molta cura e attenzione e, secondo me, una certa sobrietà, che è quella che ritrovo nella versione proposta dal direttore del gruppo inglese Robert Hollingworth».
«Nella stagione autunnale ci sarà poi musica barocca, italiana, tedesca, e francese. A questo proposito vorrei citare la proposta del giovane tenore, Reinaud von Mechelen, che proporrà musiche di Lully pensate per lo specifico ruolo vocale di haute-contre con il suo ensemble A Nocte Temporis».
Il programma del concerto inaugurale è dedicato agli intermedi presentati tra un atto e l’altro della commedia La pellegrina di Girolamo Bargagli in occasione dei festeggiamenti della nozze tra Ferdinando de’ Medici e Cristina di Lorena del 1589.
Abbiamo chiesto a Nicolas Achten, il poliedrico direttore dell’ensemble Scherzi Musicali che inaugurerà questa importante edizione, di raccontare il lavoro preparatorio.
Oltre a cantare lei suona il clavicembalo, il liuto, e l’arpa. Come ha iniziato?
«Ho iniziato a studiare musica e a suonare la chitarra, il piano, e il flauto traverso, e poi a cantare a undici anni. Poi sono stato progressivamente attratto dall’universo della musica barocca e a quindici anni ho cominciato ad avvicinarmi ai predecessori degli strumenti che suonavo, ossia il liuto e il cembalo e ho sviluppato una passione per la musica barocca italiana. A vent'anni ho iniziato a suonare l’arpa, che vedo come una fusione tra il liuto e il cembalo, ma non più solo in funzione della realizzazione del basso continuo, ma anche per accompagnare il canto come accadeva all’epoca di Caccini. Questa musica era concepita per essere accompagnata dal cantante stesso».
Il suo interesse verso la musica barocca è specificatamente orientato verso quella italiana del Seicento.
«Quello che trovo affascinante è l’energia che si percepisce nella nuova lingua musicale che si sviluppa all’inizio del Seicento e nel suo rapporto tra il testo e la musica. La fase dell’avvento del recitarcantando è un momento storico che determina tutto quello che accadrà dopo» .
Gli intermedi de La Pellegrina ne prefigurano gli sviluppi?
«Quello che mi sembra incredibile è che si tratta di un riassunto della tradizione rinascimentale con un piede già nella nuova sensibilità barocca. Vi troviamo i primi esempi di monodia accompagnata dal basso continuo scritti da Caccini, Peri e de’ Cavalieri, che erano in competizione tra loro, tanto che ognuno poi ha seguito la propria strada».
Per la sua eterogeneità è un repertorio complesso da affrontare?
«Per me è la realizzazione di un sogno poter affrontare queste musiche con nuovi strumenti come il chitarrone, che non era ancora quello che noi conosciamo con le corde non tastate per realizzare le note gravi del continuo. Ho fatto costruire da un liutaio belga una copia del grande liuto contrabbasso che è conservato nel Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna. La tiorba ancora non esisteva ma questo strumento era già accordato come il chitarrone, con le prime due corde abbassate di un ottava, e misura più di un metro di lunghezza. Ha un suono corposo e funziona bene con la musica del primo Seicento».
Come sta preparando il concerto inaugurale del festival?
«L’edizione originale a stampa è con le parti separate e contiene molti errori. Con il mio assistente ho realizzato una edizione in partitura per poterla eseguire più agevolmente con il mio ensemble, e ho raccolto tutte le informazioni possibili sulla sua esecuzione».
«Nell’originale ci sono indicazioni su quali strumenti dovevano essere suonati per ognuno dei brani e io vorrei cercare di avvicinarmi il più possibile al suono dell’epoca. Utilizzeremo sei liuti di dimensioni diverse, un vero e proprio consort come avveniva nel Cinquecento, anche se oggi non si usa più, e al loro fianco un’arpa. Avremo tutta la famiglia delle viole da gamba, compreso il lirone, e un violino, in modo da avere uno spettro sonoro molto ricco. Il terzo gruppo sarà composto da due cornetti, quattro tromboni, e un flauto traverso. Nella stampa originale è scritto che c’erano anche tre organi positivi, e anche quello che viene descritto come un organo di pivette, ossia un regale».
E molte voci immagino.
«Diciotto, perché alcune delle composizioni sono a tre cori di sei voci, e poi la colossale pagina finale… Era un progetto molto ambizioso per l’epoca, e si percespisce che furono fatte delle cose estreme, senza limiti, per celebrare i committenti e mecenati».
Ci sarà una mise en espace?
«Non esattamente, ma in un certo senso si farà da sé perché ciascun intermedio, e talvolta ciascun brano, prevede una disposizione diversa dei musicisti e dei cantanti. La visione degli strumenti sarà già di per sé uno spettacolo [risata]».
Quali sono i momenti musicali più interessanti dei sei intermedi?
«È difficile rispondere perché c’è una grande diversità tra lo stile rinascimentale e quello prebarocco. Ci sono tanti compositori e un grande dinamismo. A volte la musica può apparire semplice, ma è molto efficace, con i diversi colori timbrici e le diverse armonie. Le nuove monodie presentano effetti di eco, come ad esempio in quella di Peri, e nelle tre arie c’è uno straordinario virtuosismo che ha una dimensione magica. Nelle parti polifoniche si sono colori molto interessanti. La composizione di Bardi è profonda, molto modale ed ha uno stile arcaico».
Si tratta di un lavoro molto impegnativo.
«Il lavoro preparatorio è enorme, ed è stato impegnativo cercare gli strumenti giusti, facendone costruire alcuni, ma penso che il risultato dovrebbe avvicinarsi alla energia che si sprigionò la prima volta che vennero ascoltati questi intermedi che erano qualcosa di veramente nuovo. La cosa interessante è che poi in ottobre canteremo Le nuove musiche di Caccini e faremo quattro rappresentazioni della sua Euridice, che registrammo circa dieci anni fa. Rimettere tutto nella giusta prospettiva cronologica aiuta molto a capire la natura e la logica di questa musica».
Cosa cambierà nella ripresa della Euridice?
«Il cast, naturalmente, nuovi musicisti e alcuni nuovi strumenti, come questo chitarrone, e l’opera suonerà un po’ diversa da come l’avevamo a suo tempo interpretata. Spero di riuscire ad avvicinarmi a quello che gli artisti cercavano e scoprivano nel loro tempo, anche se in verità non lo sapremo mai e questa musica è avvolta di mistero».
Il programma di Laus Polyphoniae 2018 sarà un vero e proprio viaggio nella storia della musica nel quale verranno messi in risalto alcuni dei suoi principali tesori, poiché secondo la migliore tradizione del Festival tutte le sue performance sono frutto non solo di una prassi storicamente informata, ma per la maggior parte dei casi anche di un accurato studio e lavoro di ricerca.
Per orientarsi nella ricca serie di proposte segnaliamo alcuni dei concerti secondo l’ordine cronologico dei repertori musicali lungo il corso dei secoli, mentre il calendario completo si trova sul sito di Amuz.
L’Alto Medioevo sarà rappresentato dal canto gregoriano proposto dall’ensemble Psallentes, dagli inni di Hildegard von Bingen interpretati dal Tiburtina Ensemble, dagli organa del Tropario di Winchester ricostruiti dall’ensemble Dialogos, e dai canti dell’Antifonario di Worcester intonato dal Trio Mediaeval. Il Basso Medioevo dalla Ars nova di Guillaume de Machaut proposta da Vivabiancaluna Biffi, Pierre Hamon e Marc Mauillon, e dalla Ars subtilior affidata alle cure dell’ensemble Mala Punica.
Per quanto riguarda il Rinascimento si potranno ascoltare le polifonie di Jacob Obrecht eseguite da Cappella Pratensis, quelle di Peter Philips, Richard Dering e Sweelinck interpretate dal collettivo vocale Stile Antico, quelle di Duarte Lobo proposte dall’Officium Ensemble, e sul fronte della musica strumentale liuti, arpe e cembali suonati da Paul O’Dette, Andrew Lawrence King, e Capriccio Stravagante. Sempre in ambito rinascimentale precedute da una conferenza verranno eseguite in una unica giornata tutte le composizioni contenute nello Chansonnier di Lovanio, prezioso sia per il formato tascabile del manoscritto che per il fatto di contenere otto unica. Sarà interessante vedere in che modo i quattro gruppi coinvolti nel progetto, Ensemble Leones, Park Collegium, Huelgas Ensemble e Sollazzo Ensemble, sceglieranno di interpretare le chanson franco-fiamminghe che hanno rappresentato la lingua franca della musica d’arte dell’Europa del Quattrocento.
Il concetto del prima e dopo, attorno al 1600, sembra racchiuso e circoscritto nella transizione tra il primo e l’ultimo concerto del programma del Festival, poiché nel passaggio dalle prime forme di monodia accompagnata in stile rappresentativo presenti negli Intermedi de La Pellegrina, alla rielaborazione del recitarcantando fatta da Claudio Monteverdi con il suo Orfeo del 1607, si compie la trasformazione del linguaggio musicale che abbandonando progressivamente la tradizione rinascimentale esprime la nuova sensibilità barocca attraverso la retorica degli affetti.
A fine Festival questo sembra suggerire la presenza dell’Orfeo che verrà rappresentato in forma semiscenica da I Fagiolini and The English Cornett and Sackbut Ensemble diretti da Robert Hollingworth con la regia di Thomas Guthrie.