Muti a Firenze, ed è ancora Macbeth
Muti festeggia con Verdi i suoi 50 anni dal debutto fiorentino
Un Macbeth indimenticabile, quello che Riccardo Muti ha diretto in forma di concerto al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, a conclusione dell’edizione n. 81, per ricordare i cinquant’anni dal suo primo concerto a Firenze con questa orchestra. Già in tempi lontanissimi, il famoso Macbeth con la regìa di Franco Enriquez del 1975, lo si era capito, che poche opere verdiane gli sono forse altrettanto confacenti come questa, la cui seconda e definitiva versione parigina del 1865 innesta sulla partitura nata per Firenze nel 1847 alcune innovazioni splendide, che riflettono un’evoluzione in atto verso una propria misura di dramma musicale (come il monologo della Lady La luce langue), e alcuni doverosi ma in realtà sentitissimi omaggi all’opera “alla parigina”, quali i deliziosi ballabili della scena delle streghe del terzo atto. 1847, si diceva, dunque cronologicamente in pieni “anni di galera”, ma che Macbeth rappresenti una svolta nel catalogo verdiano (la sua prima immersione nel fantastico e demoniaco, il suo primo Shakespeare, quarant’anni prima di Otello) lo sapevamo, e mercoledì Muti ce l’ha ricordato di nuovo, e davvero bene. Così che non si sapeva se ammirare di più la grazia scintillante dei ballabili della seconda edizione, o la fragranza e l’evidenza drammatica delle parti del Macbeth “originale” del 1847, rifluito in gran parte nella versione definitiva, in tutti i suoi variegati aspetti, da certe spettrali armonie che circondano Macbeth e la sua donna, alla struggente e inarrivabile semplicità che ha tante volte il Verdi giovane. Tutti questi dati erano accortamente equilibrati in questa concertazione che aveva la profonda incisività tragica del Verdi alla Muti, ma accortamente dosata e indorata da certe torniture e sfumature, da infinite e minute vibrazioni del movimento e delle dinamiche, in cui si esprimevano la sicurezza e la visione matura del grande direttore verdiano senza perdere nulla della sua impronta originaria, quella di un Verdi galvanizzante, drammatico, diretto. Galvanizzati erano infatti l’orchestra e il coro istruito da Lorenzo Fratini, tutti in forma eccellente per un’esecuzione tirata a lucido che di più non si poteva. Ci siamo dunque goduti appieno questoMacbetha misura di direttore, e in questo senso si lasciava apprezzare un cast profondamente compartecipe delle intenzioni del concertatore nella scrupolosissima definizione dell’espressione e degli accenti, con Luca Salsi protagonista e Vittoria Yeo, Francesco Meli e Riccardo Zanellato come Lady Macbeth, Macduff e Banco. Successo caldo e intenso trainato da noialtri vecchi aficionados che a Muti dobbiamo le prime indelebili impressioni della forza di Verdi, e alla fine la perorazione di Muti per la sua oramai storica battaglia: riportare a Firenze in Santa Croce le spoglie di Luigi Cherubini.
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