Ladri e puttane: la Londra del 1728 secondo la Beggar’s opera

Al Festival dei due Mondi di Spoleto una rara occasione per riascoltare uno dei più grandi successi del Settecento

The Beggar’s Opera Spoleto - Foto di Maria Laura Antonelli
Foto Festival di Spoleto - Maria Laura Antonelli
Recensione
classica
Teatro Nuovo, Spoleto
The Beggar’s Opera
06 Luglio 2018

Robert Carsen scrive nel programma di sala che The Beggar’s Opera è la prima commedia musicale della storia. È un’affermazione un po’ avventata per una ballad opera del 1728, che oggi è ricordata principalmente per la rielaborazione col titolo di Opera da tre soldi che ne fecero Bertolt Brecht e Kurt Weill. Eppure bisogna ammettere che contiene un fondo di verità. Per avvicinarla ancora di più a un musical dei nostri giorni, il regista canadese ne ha anche aggiornato il testo, cosicché il business della banda di Peachum diventa lo spaccio di droga e il furto di smartphone. Inoltre ha modernizzato il linguaggio e aggiunto alcuni riferimenti alla Brexit e ad altri temi di attualità.

Per il resto, quel che si ascoltava era a grandi linee il testo scritto da John Gay nel 1728. Se si desiderasse conoscere il testo originale, si può reperirlo facilmente in libreria o in internet, ma si deve essere consapevoli che non esiste un unico e immodificabile testo autentico, poiché a ogni rappresentazione subiva modifiche, tagli, aggiunte.

The Beggar’s Opera Spoleto - Foto di Maria Laura Antonelli
Foto Festival di Spoleto - Maria Laura Antonelli

Un ipotetico rispetto dell’originale è ancora meno realizzabile per quel che riguarda la musica, firmata da Johann Cristoph Pepusch, un compositore tedesco residente a Londra, che si limitò in realtà ad arrangiare una sessantina tra canzoni popolari e arie d’opera dell’epoca. Tali musiche sono giunte fino a noi in una versione incompleta e notate in modo sommario. Si è però pensato che, in quest’epoca di edizioni critiche e strumenti originali, non ci si potessero prendere con la musica le stesse libertà che col testo e si è quindi fatto appello ai musicisti di Les Arts Florissants (diretti in quest’occasione non dal loro fondatore William Christie ma da Marie van Rhijn), che conoscono benissimo la musica di quel periodo e sono in grado non tanto di ricostruire la lettera delle sommarie partiture di Pepusch quanto di farne rivivere lo spirito, completandole e reinventandole con le loro improvvisazioni: in questo – si sa – la musica del periodo barocco non era troppo diversa dal jazz.

Gli interpreti dei numerosissimi personaggi sono stati scelti da Carsen nel vasto serbatoio di ottimi artisti britannici del musical. La sua regia sfruttava principalmente la fisicità di questi artisti, capaci di recitare e ballare con vitalità contagiosa, di cantare (naturalmente con voce non impostata) in modo più che adeguato e in alcuni casi di prodursi in esplosivi numeri ginnici. Con interpreti di questo genere e con una regia che ne valorizzava tutte le multiformi capacità e tutte le doti fisiche, non c’era bisogno di molto altro per realizzare uno spettacolo che conquistasse senza riserve il pubblico. Le scene di James Brandily consistevano di un’alta parete fatta di scatoloni di cartone e di pochi arredi egualmente di cartone. A eccezione del completo blu di quel pescecane di Mr Peachum, i costumi di Petra Reinhardt sono stati sicuramente comprati per quattro soldi e poi opportunamente stropicciati, sporcati e strappati per adattarli a quella manica di criminali. Quelli delle donne, ridottissimi e attillatissimi, leopardati o luccicanti, erano altrettanto adatti al mestiere da loro esercitato.

The Beggar’s Opera Spoleto
Foto di Patrick Berger

I nomi dei cantanti-attori-ballerini probabilmente non diranno molto al lettore italiano, ma erano talmente bravi che fa piacere citare almeno i principali. Benjamin Purkiss era Macheath (il Mackie Messer dell’Opera da tre soldi di Brecht-Weill). Robert Burt, Beverley Klein e Kate Butter erano Mr e Mrs Peachum e loro figlia Polly. Olivia Brereton era Lucy e Emma Kate Nelson era Jenny. Alcuni rivestivano più ruoli, come il bravissimo Sean Lopeman. Il pubblico di Spoleto li ha applauditi con entusiasmo.

Lo spettacolo, nato nelle scorse settimane al Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi, iniziava con queste tre recite al Festival dei due mondi una lunga tournée, che durerà fino a febbraio e toccherà vari stati europei e anche nuovamente l’Italia, precisamente Pisa e Novara.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

L’elegante direzione di Sardelli segna la ripresa della regia di Martone animata da un affiatato cast vocale

classica

Doppia apertura di stagione all’Oper Köln con l’oratorio di Haydn in forma scenica e l’opera di Strauss

classica

La stagione lirica del Teatro La Fenice si chiude con La vita è sogno di Gian Francesco Malipiero da Calderón de la Barca ottant’anni dopo la prima veneziana