Esa-Pekka Salonen apre Ravello con Wagner
Un Wagner in forma di concerto che non convince troppo, con il baritono James Rutherford e il soprano Michelle De Young
Si parte all'insegna di Wagner, per l'edizione numero 66 del Ravello Festival. Un inizio operistico ma in forma di concerto, sul belvedere di Villa Rufolo, dove la scelta Wagner vuole creare appeal e trascinare il pubblico – sempre entusiasta nella suggestiva cittadina della costiera amalfitana.
Il concerto dello scorso 30 giugno, con Esa-Pekka Salonen alla direzione della Philharmonia Orchestra di Londra, di ritorno dopo il successo dello scorso anno, e con il baritono James Rutherford e il soprano Michelle De Young, non scivola ahimè in una sontuosità musicale degna di un'inaugurazione. Il preludio da Tristan und Isolde, che apre la serata, saggiato in una tenuta spesso precaria, con talune stranezze nei tempi, mancava di naturalezza del gesto che Salonen invece sempre sfoggia e che sempre colpisce e rende tutto fluido e mai costruito. Tutto il concerto si proietta in un Wagner quindi poco sperimentale, disegnando fraseggi come fossero ingessati, con giochi di dinamiche e ricomposizioni già sentite. La forma, così imponente e robusta in Wagner, non era proprio reinventata, così poco contestualizzato cavalcava eccessi timbrici in una lettura slegata e a tratti poco avvolgente.
Ma migliora col passar del tempo, laddove protagonisti si innalzano gli archi, attraverso sfumature e impasti inediti sono fatti suonare con grande maestria, mirati – e Salonen dà il meglio nei cambi di timbro, pastosità con i fiati, ombre e malinconie, cambi repentini in modo particolare nel Liebestod che seguiva. Ancora un po' meglio nell'Addio di Wotan da Die Walküre, dove la massa orchestrale, circa settanta in un palco impacchettato di musicisti, invece corre, quasi sempre regolare nei registri, pungente, energica, nelle variazioni di cupe atmosfere, a volte meditabonda, spesso tormentosa, quasi di angosciante disperazione.
Insieme, l'elegante James Rutherford, di suono scuro, ideale, quasi incanta cantando con timbro e parola splendidi. Legni e archi in virtuosismo d'assieme apparivano però mai veramente allineati con il colore della voce – pur cantando bene Rutherford, delineando spatolate di suono ricche ed ammalianti. Nella seconda parte, da Götterdämmerung, nell'Olocausto di Brunilde, la De Young è magnetica sì, ma poco trascinante. La voce non si rispecchia mai sulle tinte di suono, fatte di linee terse cangianti, che via via escono dall'orchestra, il clarinetto basso, le arpe, confondendo la chiave interpretativa, mai chiara. Si tentano passaggi morbidi, ma mai più commoventi. Tanti applausi per entrambi. Ormai è routine. Negli ultimi tempi, il pubblico è prima sonnacchioso, poi turbolento. Si applaude sempre nello stesso modo e a tutti.
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