L'invecchiamento dei Gorillaz

Il sesto album della band virtuale di Damon Albarn, più sobrio e malinconico rispetto ai precedenti

Gorillaz
Disco
pop
Gorillaz
The Now Now
Parlophone
2018

Se le carriere discografiche sono un po’ come i film in serie, nel senso di personaggi e ambientazioni ricorrenti cui corrispondono variazioni di trama, ciò vale a maggior ragione nel caso dei Gorillaz: Blur a parte, l’impresa musicale più celebre di Damon Albarn, qui nei panni di 2-D, uno dei quattro protagonisti della saga formato cartoons.

Al solito impegnatissimo (in vista c’è il secondo lavoro con Tony Allen e Paul Simonon targato The Good, The Bad & The Queen, per dire), nell’occasione l’artista londinese imprime il proprio marchio di fabbrica più che in qualunque altro manufatto dei primati virtuali. Basti pensare all’immediato predecessore Humanz, talmente zeppo di ospiti da confondere le idee: in questa circostanza ce ne sono appena tre, invece. E dunque, per analogia, viene in mente The Fall, anch’esso poco affollato da estranei e – allo stesso modo – concepito in tournée e registrato con sollecitudine (da cui – immaginiamo – il titolo sull’“adesso adesso”).

A fare quell’effetto, comunque, è soprattutto quanto si ascolta, imparentato allo spleen da era digitale dell’unico album edito a suo nome, Everyday Robots. In particolare, lo confermano brani tipo “Kansas” o “Fire Flies” (dove canta: “Le sentinelle mi troveranno e questa volta mi spegneranno”), ma pure la pigra marcetta pop “Magic City”: “Guardo in basso dalla cima del crinale, invecchio mentre ci evolviamo, sarei lieto di tornare indietro, guarda c’è un cartellone pubblicitario sulla Luna”.

Il tono è sovente introspettivo, se non esplicitamente malinconico, tanto che le prime parole spese nell’iniziale “Humility” sono: “Chiamando il mondo dall’isolamento”. E poi, scandito dalla chitarrina funky di George Benson, il ritornello recita: “Sono il gemello solitario, la mano sinistra”. All’umore generalmente ombroso dei testi si oppongono sonorità all’apparenza scanzonate: in “Tranz” o nell’ammiccante “Sorcererz”, ad esempio, fino al galante epilogo aromatizzato latino di “Souk Eye”, mentre a conferire vigore ritmico e insolenza hip hop a “Hollywood” sono rispettivamente il pioniere dell’house di Chicago Jamie Principle e un marpione del rap “vecchia scuola” quale Snoop Dogg.

Da un punto di vista narrativo, veniamo a sapere, vi sono alcuni aggiornamenti: Noodle è diventato donna, Murdoc – rimpiazzato da Ace – langue in prigione, Russel ha sbalzi di peso corporeo e il nostro 2-D sta perdendo i capelli. Sono passati del resto 20 anni esatti dal momento in cui Albarn concepì il progetto insieme al fumettista Jamie Hewlett, dandogli sbocco nel 2001 con il disco omonimo e replicandone il successo nel 2005 con Demon Dayz.

The Now Now è il sesto episodio della sequenza e arriva dopo che i due precedenti avevano smorzato un po’ gli entusiasmi intorno a questo bizzarro laboratorio di pop avveniristico. Chi cercasse esperimenti audaci o la vertigine della novità, farebbe meglio a rivolgersi altrove, ma se viceversa si accontentasse di una gradevole colonna sonora per l’estate, l’avrebbe trovata. Nella sua sobrietà, quasi dimessa rispetto ai trascorsi, il nuovo album dei Gorillaz offre qualità bastante a confermare lo status di Damon Albarn: uno che sbaglia il colpo molto raramente.

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