Actress da camera
LAGEOS è il frutto della simbiosi fra il produttore elettronico Actress e la London Contemporary Orchestra
Calciatore mancato a causa di un grave infortunio patito nell’adolescenza, Darren J. Cunningham – alias Actress – decise d’investire le sue energie in ambito musicale, appassionandosi alla techno da rave e producendone poi in proprio una versione astratta e concettuale.
Si è assicurato così una certa fama nell’area della dance music che suol dirsi “intelligente”, manifestando d’altra parte l’intenzione di «produrre roba classica per una generazione moderna». Tale aspirazione trova ora coronamento nel frutto discografico della partnership avviata nel febbraio 2016 con la London Contemporary Orchestra, formazione abituata agli sconfinamenti extracolti: dal vivo con Belle & Sebastian e in studio con Radiohead e Frank Ocean, fra i tanti.
Allestito in origine – con lo zampino del network Boiler Room e dell’etichetta editrice – per una performance al Barbican di Londra intitolata Momentum (alla quale corrisponde qui un solenne episodio di ambient siderale), il progetto è stato replicato in seguito – ancora nella capitale britannica – alla Tate Tanks e allo Strelka Institute di Mosca, mutando di volta in volta aspetto in funzione del luogo (a riguardo l’artista di Wolverhampton afferma di essersi ispirato alle creazioni tra musica e architettura di Iannis Xenakis).
La materia prima è fornita dalle composizioni di Cunningham, in genere firmate Actress (tra queste un paio tratte dai lavori d’inizio decennio, i suoi migliori, Splazsh e R.I.P.) ma anche con altre identità (“Chaos Rain” come Bank Of England, ad esempio), di cui Hugh Brunt – fondatore dell’ensemble insieme a Robert Ames – ha congegnato nuove orchestrazioni, infine processate dall’autore attraverso computer e vari macchinari. Il risultato è in alcuni casi superiore alla somma dei fattori in gioco: “Audio Track 5” costituisce una rappresentazione plastica dei livelli raggiungibili dalla simbiosi fra groove sintetico e strumentazione acustica.
Allo stesso modo impressiona “Chasing Numbers”, dove un fraseggio ritmico d’impronta africana si dissolve in un ammollo d’avant-garde cameristica, mentre la combinazione fra violoncello spettrale e battito hip hop rende suggestivo e inquietante “Voodoo Posse, Chronic Illusion”. Apre la sequenza, a suon di archi affilati e interferenze elettroniche, il brano che dà nome all’album, mutuato dall’acronimo riferito a due satelliti geodetici lanciati dalla Nasa rispettivamente nel 1976 e nel 1992, il secondo – realizzato nei laboratori Alenia – in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana: oggetti simili a strobosfere da discoteca sui quali sono impresse la stilizzazione dell’orbita terrestre intorno al sole e tre mappe della superficie del pianeta in ere diverse. La copertina ne raffigura un particolare, definendo l’habitat emotivo dell’opera.