Weill e Schönberg al chiaro di luna
Pountney e Hosseinpour portano in scena il trittico “Mahagonny Songspiel”, “Pierrot lunaire” e “I sette peccati capitali” a Strasburgo
Un sipario basso, un direttore-pierrot, un quartetto di performer e poi tre donne, due cantanti e una ballerina, che sono forse i tre volti di una stessa persona, che invitano al viaggio verso Mahagonny, la città dorata sulle sponde della consolazione e lontana dalla frenesia del mondo. Illumina il cammino la luna, quella dell’Alabama, ma anche quella che versa a ondate vino che si beve con gli occhi, quella dei pallidi fiori, quella che con una luce fantastica, quella malata, quella moribonda di ogni notte nella nera palude del cielo, quella che come una spada turca trafigge la notte, quella cattiva e beffarda, quella che fa da remo alla barca ninfea, e quella che si fa macchia indelebile sul vestito nero del pierrot che ne assorbe il colore. Inafferrabile e sfuggente, come quella vagheggiata Mahagonny che non esiste, non è nessun luogo, non è che un nome bizzarro.
L’illusione nasce e poi sparisce rapida con un cambio di luci o un sipario che si chiude nel cabaret allestito da David Pountney con Amir Hosseinpour per l’Opéra national du Rhin innestando nella cantata scenica del Mahagonny Songspiel le atmosfere rarefatte del Pierrot lunaire di Arnold Schönberg aperta come una parentesi straniante nella parabola politica di Brecht e Weill. Simili atmosfere nella seconda parte interamente consacrata ai Sette peccati capitali, altra parabola di Brecht e Weill, nello stessa scatola scenica disegnata da Marie-Jeanne Lecca, uno spazio nero con una grande strada gialla sullo sfondo e una macchina che punta verso il cielo ma con un ring da pugili – come quello della prima del Mahagonny Songspiel a Baden-Baden nel 1927 – al posto della pedana rotonda con la superficie lunare della prima parte. E le tre Anne (le due cantanti e la danzatrice, che coreografa Beate Vollack) raccontano sul ring le sette tappe del personale viaggio nei peccati mortali, mentre il quartetto familiare commenta davanti alla tv prima di accanirsi sulla loro Anna come in una morale rovesciata della favola.
Realizzazione fin troppo discreta e assai poco peccaminosa per volersi proporre come un cabaret credibile, che ha comunque il pregio di tirar via sugli aspetti più datati della pedagogia brechtiana. Anche sul piano della realizzazione musicale latitano mordente e sensualità, nonostante l’impegno delle tre presenze femminili (le cantanti Lenneke Ruiten e Lauren Michelle, e la danzatrice Wendy Tedrous), nettamente superiori alla prestazione del quartetto maschile (Roger Honeywell, Stefan Sbonnik, Antoine Foulon e Patrick Blackwell), che non brilla per precisione e omogeneità vocale. Nel complesso buona l’esecuzione musicale dell’Orchestre symphonique de Mulhouse guidata da Roland Kluttig con qualche impaccio in Mahagonny e marcatamente più sicura nei Sette peccati capitali.
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