Courtney Barnett: né madre né puttana
Tell Me How You Really Feel è il secondo album della cantautrice indie australiana Barnett
Di Courtney Melba Barnett ci occupammo già tre anni fa, in occasione del suo primo album compiuto, Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit, segnalandone il valore. Cantautrice australiana nel cui linguaggio permangono tracce dell’apprendistato in band locali di grunge e garage rock, si fece notare per una qualità di scrittura non comune, nei testi disegnati con tratto ironico intorno ad aneddoti della quotidianità, e lo stile insolito, con quella voce quasi annoiata a intonare le canzoni. Da allora ha dovuto fare i conti con il prezzo del successo, poiché il disco venne accolto ovunque in modo assai lusinghiero, ponendola sotto la luce dei riflettori e caricando di aspettative le sue mosse seguenti.
Lei si è presa il tempo necessario, concedendosi giusto una scappatella occasionale con il collega statunitense Kurt Vile, insieme al quale ha confezionato un lavoro a quattro mani, Lotta Sea Lice, uscito nell’ottobre scorso. Ed eccola adesso, appena varcata la soglia dei trent'anni, impegnata nel compito di alzare il livello, cosa che rende Tell Me How You Really Feel epidermicamente meno immediato del predecessore.
La collocazione sonora non muta, è semmai la grafia musicale a farsi più complessa, mentre nei versi dei dieci brani quanto si perde in termini di humour viene compensato dalla maggiore densità narrativa. In “Nameless, Faceless”, rivolto espressamente ai troll che infestano il web (“Non hai niente di meglio da fare?”), cita ad esempio un passo dal romanzo Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, restituito all’attualità dall’omonima serie televisiva: “Gli uomini sono terrorizzati dalle donne che ridono di loro, le donne sono terrorizzate dagli uomini che le uccideranno”.
E subito dopo, in sequenza, arriva l’esplicito “I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch”: rabbioso e rumoroso inno di emancipazione enunciato da chi non hai mai nascosto di essere lesbica. Alternando sobria malinconia (“Prendi il tuo cuore infranto, trasformalo in arte”, nell’iniziale “Hopefulessness”), disinvolta sensualità (“Help Your Self”) e grazia melodica (la disincantata “Sunday Roast”, all’epilogo), l’artista di Sidney mostra evidenti progressi sul piano espressivo, senza per questo rinnegare le proprie origini, qui rappresentate dalle sorelle Kim e Kelley Deal, ospiti in “Crippling Self Doubt and a General Lack of Self-Confidence” (restituendo così a Barnett il favore fatto in occasione dell’ultimo album delle Breeders, All Nerve), e dall’indie rock di stampo classico esibito in “Charity”, che rimanda alle Hole dell’altra Courtney, la signora Love.