La dance intelligente e bipolare di Dj Koze
Il nuovo album del produttore tedesco Dj Koze, Knock Knock, oscilla tra euforia e malinconia.
Chi ha potuto ammirarlo manovrare dischi in consolle sa quanto sia eclettico e spiazzante l’estro del quarantaseienne Stefan Kozalla, alias DJ Koze (per tutti gli altri valga come prova il suo contributo alla collana Dj Kicks, datato 2015).
Già nell’album precedente, Amygdala, il produttore tedesco aveva mostrato di volersi defilare dagli stereotipi della dance e ora – a cinque anni di distanza – prosegue quel cammino di emancipazione artistica con un lavoro almeno altrettanto originale e stuzzicante. Questo non significa che si sottragga al compito di invogliare al ballo, anzi: il micidiale groove su cui scorre “Pick Up” – degno del migliore “french touch” in voga 20 anni fa, tipo “Music Sounds Better With You” degli Stardust (dove c’era lo zampino del “daft punk” Thomas Bangalter) – non fa prigionieri, infierendo sui sopravvissuti con lo straziante campionamento (“Triste a dirsi, mi sembra che nessuno dei due voglia essere il primo a dire addio”) da “Neither One of Us” di Gladys Knight & The Pips.
Altra voce presa in ostaggio è quella di Justin Vernon/Bon Iver da “Calgary”, la cui frase melodica ricorre in “Bonfire”, insinuante numero di techno dal gusto astrattista. Vi sono poi gli ospiti in carne e ossa, se vogliamo definirli così: alcuni coerenti al contesto, com’è ad esempio Róisín Murphy, che conferisce sensualità a “Scratch That” e “Illumination”.
Altri viceversa “fuori zona”, all’apparenza: Kurt Wagner dei Lambchop, il cui canto dolente in “Muddy Funster” suona alieno per via del vocoder, oppure il cantautore svedese José González, al microfono nella diafana “Music in My Teeth”, una specie di ballata folk intonata nell’iperspazio, mentre in “Colors of Autumn” si rivede Speech, rapper principale degli statunitensi Arrested Development, chiamato a incarnare la vibrazione hip hop che affiora qui e là quasi impercettibilmente (si ascolti a tale proposito “This Is My Rock”).
Al generale understatement delle costruzioni ritmiche corrisponde l’umore agrodolce che pervade il disco, frutto di un’alternanza bipolare tra euforia e malinconia: ciò che rende in definitiva Knock Knock al tempo stesso struggente ed entusiasmante.