Carlot-ta, gotico vercellese
Il nuovo album di Carlot-ta, Murmure, è (quasi) interamente suonato su un organo a canne
Se avesse un cognome che finisce in –dóttir o una backstory appena più intrigante, o – che so – i capelli blu e qualche parente con un passato nella grande canzone americana, di lei forse sentiremmo parlare più spesso. Invece, Carlot-ta (al secolo Carlotta Sillano, con quel nome di battesimo così anni Novanta) è di Vercelli, studia a Genova, ha all’attivo (a 27 anni) tre album e moltissimi concerti – anche su palchi di un certo prestigio – ma rimane tutto sommato una meraviglia periferica nella nostra canzone.
Carlot-ta è tale (e benissimo va così, intendiamoci) da diversi punti di vista. Per il suo personaggio, come si è detto. Perché canta in inglese e francese ma con testi strani, gotici, che parlano di infanzia, di fari solitari, di montagne e ghiacciai più che di scazzi generazionali. Perché in fondo è difficile considerarla in qualunque categoria codificata in Italia – “canzone d’autore”? “Indie”? Assolutamente no – eppure è, appunto, italiana, e per giunta abbastanza periferica rispetto al “giro giusto”, per dirla alla Bugo.
La decisione di fare un intero disco – questo Murmure – suonato e arrangiato su due organi a canne (veri organi a canne, di vere chiese), d’altra parte, non è certo la mossa più appealing per superare quanto detto. Soprattutto perché in questa scelta radicale (nei suoni del disco c’è poco altro: piano, arpa, percussioni, la chitarra in un solo brano) non c’è nessun compiacimento da trovarobato hipster, ma una vera ricerca musicale, quella sfida a superare i propri limiti di musicista che pochi accolgono.
L’organo nasce per imitare altri strumenti e per riempire il suo spazio, l’intero spazio della chiesa, con i suoni di un’orchestra, occupandone tutte le frequenze. Carlot-ta, senza timore reverenziale di fronte alla grande macchina da musica, lo usa come tale: non come colore, ma spolverandone ogni registro fino a quelli più strani, con effetti ora epici (“Sputnik 5”, con il suo andamento alla Coldplay), ora struggenti (il ternario di “Minstrel”, con l’arpa di Cecilia), ora ancora ironici (la “Samba macabre”). Ne viene fuori un disco strano, analogico, organico – ma al contempo alieno nei suoni e nelle atmosfere da qualunque cosa abbiate ascoltato. Un grandissimo disco.
Murmure è stato registrato tra Italia, Svezia e Danimarca, ed è stato prodotto a Reykjavik da Paul Evans: suonerà dal vivo, nei prossimi mesi, nelle chiese che hanno un organo a disposizione (curie permettendo), con un videomaker a riprendere e rilanciare su schermo quanto Carlot-ta fa là in alto al grande strumento, lontana dalle miserie terrene.