Amen Dunes: libertà e così sia
Si intitola Freedom il quinto album di Amen Dunes, il progetto dietro cui si nasconde Damon McMahon, songwriter e musicista di Philadelphia
“Non ho nessuna idea preconcetta, ho una mente vuota”: Freedom si apre con questa citazione della pittrice minimalista Agnes Martin, nata in Canada e deceduta nel 2004 in New Mexico, uno dei princìpi creativi di Damon McMahon, alias Amen Dunes, songwriter e musicista di Philadelphia.
Quattro anni dopo Love, un album che si può tranquillamente definire “un classico”, il nuovo lavoro di Amen Dunes (il quinto) è un passo in avanti dal punto di vista autoriale, sia concettualmente sia sul piano sonoro: sopravvive il folk spettrale, spruzzato di psichedelica, dei dischi precedenti, ma arricchito da chitarre appuntite, fraseggi elettronici, melodie post-punk e impennate funk del basso.
Inciso agli Electric Ladyland Studios e prodotto da Chris Coady, collaboratore dei Beach House, Freedom è il risultato di un lavoro minuzioso di scrittura, durato all’incirca un anno, e arriva dopo una prima versione del 2016 poi abbandonata perché giudicata priva di energia, molto probabilmente a causa della contemporanea malattia della madre di McMahon. A due mesi dalla pubblicazione, il musicista si è reso conto di avere tra le mani dieci canzoni sulla “mascolinità fratturata”, l’esito di una rinuncia a sé attraverso l’esplorazione di sé, composto di una metà ebraica e di un’altra irlandese, e alla fine tutto si risolve in una critica dei personaggi maschili delle canzoni.
Nelle tracce che compongono il disco oggi compaiono piccoli truffatori, spacciatori, suo padre Paul, Gesù Cristo e persino quel fantastico stronzo di Miki Dora, il surfista comparso nel docufilm The Endless Summer realizzato nel 1966 da Bruce Brown, quello che dipingeva svastiche sulle sue tavole da surf e che è scappato dagli Stati Uniti per evitare l’arresto per frode (“Era pomeriggio, volevo scrivere una canzone su un surfista cattivo; ho fatto una ricerca su Google ed è uscito il nome di Miki Dora. Non sapevo nulla di lui ma, leggendo la sua storia, ho trovato delle similitudini tra il suo ego e il mio: a ben vedere ho una sorta di mescolanza di ammirazione e critica nei suoi confronti e anche nei miei”.
In “Blue Rose” compare il verso “we play religious music, don’t think you’d understand, man”: è una musica che ha a che fare con la sincerità quella di Amen Dunes, una musica che è alimentata da un’energia che non è soltanto la somma delle energie dei singoli musicisti e che trae ispirazione da qualcosa di esterno, una musica al limite dell’arroganza. Come già Love, anche Freedom è un titolo impegnativo, rischia di sembrare sfacciato o, nel peggiore dei casi, ridicolo. Ma se ritorniamo alla citazione iniziale ci rendiamo conto che questo disco è un tentativo sincero, partendo dal vuoto iniziale, di avvicinarsi al significato di “libero”.
Un’ultima annotazione: non so perché (non è vero, il perché lo so) ma mi piacerebbe molto ascoltare “Believe” e la title-track cantate da Stevie Nicks dei Fleetwood Mac, e ovviamente è un complimento.