L’Alcina con fascino ma senza magia di Karlsruhe
Inaugurata con successo la Quarantunesima edizione del Festival Internazionale Händel con una nuova produzione dell’opera händeliana
Autore
Per la Quarantunesima edizione del Festival Internazionale Händel, Karlsruhe va sul sicuro e apre con una nuova edizione dell’Alcina, opera fra le più popolari del compositore e infallibile successo fin dalla prima londinese del 1735 grazie al suo impasto di magie ariostesche, di insolita introspezione psicologica e, ovviamente, dell’estrema varietà di affetti e di virtuosismi canori e preziosismi strumentali. Il festoso successo decretato dal folto pubblico presente alla lunga serata inaugurale nella sala grande del Badisches Staatstheater non sorprende quindi, anche se la chiave scelta dal team creativo guidato dal giovane regista americano James Darrah, alla seconda prova in Europa, era estremamente parsimoniosa sul piano delle concessioni allo spettacolo e alla magia del plot, puntando invece sulla caratterizzazione psicologica. Per così dire, un’Alcina seduttrice ma spogliata dei magici poteri. Lo spettacolo era condotto nel segno dell’eleganza e dell’accuratezza quasi coreutica dei movimenti scenici, ma mancava di momenti davvero pregnanti e di reale forza drammatica. Anche il rovesciamento della prospettiva tradizionale – con una maga Alcina sedotta e abbandonata con pancione da un Ruggiero voltagabbana senza scrupoli – sembra piuttosto un aggiornamento al politically correct contemporaneo più che l’asse portante di uno sviluppo drammaturgico coerente, così come la pur bella trovata nel finale con lo svelamento del proiettore super8 e le immagini in dissolvenza del bel volto di Alcina degradato dal tempo non era che un’ombra pallida della grandiosamente tragica uscita di scena della Swanson in Viale del tramonto. Il lavoro degli scenografi di Mac Moc Design (Emily Anne MacDonald e Cameron Jaye Mock) si limitava a definire uno spazio fisso delimitato da due pareti sbrecciate dai colori neutri funzionali alle proiezioni video poco invasive di Adam Larsen, mentre più marcanti sul piano della caratterizzazione di ambienti e personaggi erano i bei costumi di Chrisi Karvonides-Dushenko.
Anche dal punto di vista musicale, se un appunto si può fare al cast di questa nuova Alcina non erano tanto le qualità vocali, tutte di ottimo livello, ma una certa cautela sul piano interpretativo, soprattutto nella coppia dei protagonisti Layla Claire (Alcina) e David Hansen (Ruggiero), entrambi cantanti più che attori: lei trovava accenti di verità nella grande scena finale del secondo atto; lui, voce agile ed espressiva ma piccina, veniva fuori completamente solo nella brillante “Sta nell'ircana” del terzo atto. Fin troppo introversa Benedetta Mazzucato (Bradamante) che pure avrebbe ottime qualità stilistiche. Più disinvolte e nitide le prove di Aleksandra Kubas-Kruk (Morgana) e Carina Schmieger (Oberto), che dava rilievo a un ruolo minore ma non superfluo nel disegno scenico. Completavano la locandina l’elegante tenore Alexey Neklyudov (Oronte) e il sanguigno basso Nicholas Brownlee (Melisso). In buca gli ottimi strumentisti dei Deutsche Händel-Solisten sotto la guida competente di Andreas Spering accompagnavano con varietà di accenti e bel colore strumentale (da citare gli assoli di accompagnamento della violinista Andrea Keller e del violoncellista Marcus Möllenbeck). Accoglienza calorosa.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Saltata la prima per tensioni sindacali, il Teatro La Fenice inaugura la stagione con un grande Myung-Whun Chung sul podio per l’opera verdiana