Baba Sissoko, blues afro-mediterraneo
Un disco dal vivo per il maestro dello ngoni Baba Sissoko
L'inizio, perentorio, con il titolo che dà nome al disco tutto, Mediterranean Blues, è chiara indicazione di rotta: la voce potente e amara di Baba Sissoko, la battuta in levare come nelle note afroamericane (ri)partite dalla Giamaica, un micidiale assist di armoniche a bocca che versano generose spezie blues sul tutto, un flusso incantenante.
Dal terzo minuto circa la miscela sonora sembra asciugarsi ed entra il scena il picchiettio ancestrale dello ngoni, il piccolo liuto dell'Africa occidentale di cui Sissoko è maestro, e che è da annoverare tra gli antenati diretti del banjo. Un inizio palpitante, dunque, come ben sa chiunque abbia avuto la buona ventura di assistere a un concerto di Baba Sissoko. Il “griot” maliano, notoriamente, da quando lascia testimonianze discografica di un carriera che sembra una corsa giubilante ha sempre avuto a cuore la versione di collante e pietra focaia della “sua” musica. L'intuizione che quanto lui definisce “Amadran” sia in realtà una delle cellule germinatrici del blues non solo ha conferme teoriche alla luce delle teorie musicologiche elaborate da specialisti del settore, ma soprattutto risvolti pratici, nella musica che si suona, e che diventano affascinanti avventure sonore: qui vorremmo ricordare ad esempio le collaborazioni con l'Art Ensemble of Chicago, con Dee Dee Bridgewater, con Enzo Avitabile, con Omar Sosa.
Tutto concorre a rimettere in circolazione l'affascinante teoria e pratica della sostanziale unitarietà delle note afro-mediterranee. Questo cd è il nuovo tassello: registrato dal vivo in una serata di San Pietro a Patti, Messina, sulla Piazza del Duomo, nell'ambito del Festival Blue Notes nel Borgo. Accanto aveva Alessandro De Marino a clarinetto e tastiere, Angelo Napoli alla chitarra elettrica, Erick Jano al basso elettrica, Kalifas Kone alla batteria, e i due armonicisti Domenico e Fabrizio Canale. Ogni brano riporta come seconda parola la precisazione “Blues”: ed è giusto così, perché anche se non di blues canonico si tratta, alla faccia di tutti gli aridi puristi della “purezza etnica” solo afroamericana, ci sono climax imponenti, groove, il sapido affacciarsi del funk, lo splendore ammaliante delle pentatoniche che con cinque note dipingono impressionanti paesaggi dell'anima.
Un cd che andrebbe suonato nelle scuole: vale mille lezioni teoriche su quanto siano più rilevanti i nodi culturali che ci uniscono, più che le invenzioni dei muri e del filo spinato a separarci.