Il medioevo del Faust secondo Anagoor
Il Teatro Comunale di Modena presenta un interessante allestimento dell’opera di Gounod
In questo scorcio di 2017 Goethe in salsa francese è molto gettonato sulle scene liriche italiane. Mentre Roma si prepara all’atteso Berlioz della Damnation de Faust, a Modena si punta sul Faust di Gounod, in leggero anticipo sul duecentesimo compleanno del compositore nel 2018. Se Roma punta sulla fama consolidata di Damiano Michieletto, il Comunale di Modena in collaborazione con Reggio Emilia e Piacenza scommette su Anagoor, collettivo teatrale in attività da una quindicina d’anni nel teatro di parola e con un paio di esperienze nel barocco musicale ma al debutto nell’opera opera.
Il capolavoro di Gounod è un centone di situazioni melodrammatiche che devono molto alla tradizione tutta francese del grand opéra ma anche a una certa passionalità di gusto italiano. Alle prese con una materia sostanzialmente estranea al mondo espressivo fin qui esplorato dal gruppo di Castelfranco Veneto, Anagoor applica la propria cifra metodologica con gli strumenti più classici del loro modo di fare teatro: un trattamento fedele (fin troppo) alla lettera del libretto di Barbier e Carré, e dello stesso Goethe, nella messa in scena curata da Simone Derai e ispirata a un medievalismo restituito con una cifra dal marcato gusto pittorico nelle scelte cromatiche dei costumi disegnati dallo stesso Derai con Silvia Bragagnolo e nel sofisticato disegno luci di Lucio Diana, più che nell’austero contenitore ligneo del dispositivo scenico.
Il distacco quasi brechtiano da quella materia si realizza attraverso le proiezioni fra un atto e l’altro di video, altro segno forte dell’alfabeto teatrale di Anagoor. Le bellissime immagini costruite da Derai con Giulio Favotto da un lato definiscono una dimensione storica dal passo rallentato che rimanda alla creazione dell’opera – nello specifico, la riesumazione del manoscritto di un Goethe ormai morente e la proposta dell’impresario Carvalho a Gounod, che porta “nel ventre” Faust da tempo – e dall’altro provocano con visioni di un contemporaneo fatto di vecchi e di morte, di ritualità religiose e di visioni naturali dal portato mitologico. Operazione intellettualmente sofisticata, ma che non tiene del tutto conto dei tempi inesorabli dell’opera: è soprattutto la durata dei video a sbilanciare quando a non depotenziare alcuni passaggi ad alta caratura drammatica, fra l’altro costruiti con un sapiente uso del mezzo teatrale, particolarmente efficace nel quadro dei tormenti di Marguerite e in quello di Walpurgis (molto meno nel finale). Nel complesso un debutto molto promettente.
Sul piano musicale, il direttore Jean-Luc Tingaud firma un’esecuzione di buona fattura anche se con una certa enfasi sonora. Non ne soffre comunque troppo un cast vocale nel complesso apprezzabile e con molti debutti. Davinia Rodriguez disegna una Marguerite di forte temperamento e apprezzabili qualità vocali. Francesco Demuro è un Faust vocalmente generoso e affidabile ma scenicamente poco coinvolgente, mentre l’esuberante Ramaz Chikviladze, “oscenamente” a torso nudo con calzamaglia e tiara papale nera per tutto lo spettacolo, dà corpo a un Mèphistophélès marcatamente sanguigno e buffonesco ma non troppo curato vocalmente, nonostante mezzi non disprezzabili. Fra gli altri, Benjamin Cho è un Valentin dai tratti gentili, e Nozomi Kato è un Sièbel fresco e spigliato. Se la cava il Coro del Teatro Comunale, non sempre preciso o pulito.
Accoglienza calorosa, con qualche mugugno nei video e fischio isolato al team registico.
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